quanti in altrui terre abbino corso.
Chiuderà Marte ove non veggia luce,
e stringerà al Furor le mani al dorso.
Di questo signor splendido ogni intento
sarà che 'l popul suo viva contento.
Ercole or vien, ch'al suo vicin rinfaccia,
col piè mezzo arso e con quei debol passi,
come a Budrio col petto e con la faccia
il campo volto in fuga gli fermassi;
non perché in premio poi guerra gli faccia,
né, per cacciarlo, fin nel Barco passi.
Questo è il signor, di cui non so esplicarme
se fia maggior la gloria o in pace o in arme.
Terran Pugliesi, Calabri e Lucani
de' gesti di costui lunga memoria,
là dove avrà dal Re de' Catalani
di pugna singular la prima gloria;
e nome tra gl'invitti capitani
s'acquisterà con più d'una vittoria:
avrà per sua virtù la signoria,
più di trenta anni a lui debita pria.
E quanto più aver obligo si possa
a principe, sua terra avrà a costui;
non perché fia de le paludi mossa
tra campi fertilissimi da lui;
non perché la farà con muro e fossa
meglio capace a' cittadini sui,
e l'ornarà di templi e di palagi,
di piazze, di teatri e di mille agi;
non perché dagli artigli de l'audace
aligero Leon terrà difesa;
non perché, quando la gallica face
per tutto avrà la bella Italia accesa,
si starà sola col suo stato in pace,
e dal timore e dai tributi illesa:
non sì per questi ed altri benefici
saran sue genti ad Ercol debitrici:
quanto che darà lor l'inclita prole,
il giusto Alfonso e Ippolito benigno,
che saran quai l'antiqua fama suole
narrar de' figli del Tindareo cigno,
ch'alternamente si privan del sole
per trar l'un l'altro de l'aer maligno.
Sarà ciascuno d'essi e pronto e forte
l'altro salvar con sua perpetua morte.
Il grande amor di questa bella coppia
renderà il popul suo via più sicuro,
che se, per opra di Vulcan, di doppia
cinta di ferro avesse intorno il muro.
Alfonso è quel che col saper accoppia
sì la bontà, ch'al secolo futuro
la gente crederà che sia dal cielo
tornata Astrea dove può il caldo e il gielo.
A grande uopo gli fia l'esser prudente,
e di valore assimigliarsi al padre;
che si ritroverà, con poca gente,
da un lato aver le veneziane squadre,
colei dall'altro, che più giustamente
non so se devrà dir matrigna o madre;
ma se per madre, a lui poco più pia,
che Medea ai figli o Progne stata sia.
E quante volte uscirà giorno o notte
col suo popul fedel fuor de la terra,
tante sconfitte e memorabil rotte
darà a' nimici o per acqua o per terra.
Le genti di Romagna mal condotte,
contra i vicini e lor già amici, in guerra,
se n'avedranno, insanguinando il suolo
che serra il Po, Santerno e Zanniolo.
Nei medesmi confini anco saprallo
del gran Pastore il mercenario Ispano,
che gli avrà dopo con poco intervallo
la Bastìa tolta, e morto il castellano,
quando l'avrà già preso; e per tal fallo
non fia, dal minor fante al capitano,
che del racquisto e del presidio ucciso
a Roma riportar possa l'aviso.
Costui sarà, col senno e con la lancia,
ch'avrà l'onor, nei campi di Romagna,
d'aver dato all'esercito di Francia
la gran vittoria contra Iulio e Spagna.
Nuoteranno i destrier fin alla pancia
nel sangue uman per tutta la campagna;
ch'a sepelire il popul verrà manco
tedesco, ispano, greco, italo, e franco.
Quel ch'in pontificale abito imprime
del purpureo capel la sacra chioma,
è il liberal, magnanimo, sublime,
gran cardinal de la Chiesa di Roma
Ippolito, ch'a prose, a versi, a rime
darà materia eterna in ogni idioma;
la cui fiorita età vuole il ciel iusto
ch'abbia un Maron, come un altro ebbe Augusto.
Adornerà la sua progenie bella,
come orna il sol la machina del mondo
molto più de la luna e d'ogni stella;
ch'ogn'altro lume a lui sempre è secondo.
Costui con pochi a piedi e meno in sella
veggio uscir mesto, e poi tornar iocondo;
che quindici galee mena captive,
oltra mill'altri legni alle sue rive.
Vedi poi l'uno e l'altro Sigismondo.
Vedi d'Alfonso i cinque figli cari,
alla cui fama ostar, che di sé il mondo
non empia, i monti non potran né i mari:
gener del re di Francia, Ercol secondo
è l'un; quest'altro (acciò tutti gl'impari)
Ippolito è, che non con minor raggio
che 'l zio, risplenderà nel suo lignaggio;
Francesco, il terzo; Alfonsi gli altri dui
ambi son detti. Or, come io dissi prima,
s'ho da mostrarti ogni tuo ramo, il cui
valor la stirpe sua tanto sublima,
bisognerà che si rischiari e abbui
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