Federico Montuschi

Due. Dispari


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parola; cosa non difficile, peraltro, quando al tavolo sedevano anche Mar e la signora Conchita, che potevano discutere amabilmente per ore anche del colore dell’erba.

      Papà giaceva a letto con una brutta influenza, fatto più unico che raro.

      Senza di lui, la cena era sempre meno allegra.

      Terminato il picadillo, Carmen lo raggiunse in camera per sincerarsi delle sue condizioni di salute.

      «Papà ciao, come stai?».

      L’ispettore Castillo, voltato sul fianco verso la finestra da cui si intravedeva una luna pallida, velata da nubi variegate che vagavano indecise nel cielo scuro, fece non poca fatica per girarsi verso la figlia.

      «Male, Carmen. Ho quasi quaranta di febbre e alla mia età, credimi, una temperatura così la senti, eccome».

      «Influenza. Sai che il termine influenza deriva dalla forma latina medioevale influentia, che significa azione degli astri sul destino umano?».

      L’ispettore sembrò riprendersi.

      Sentire sua figlia citare antiche forme latine lo riempiva d’orgoglio.

      «Beh… e chi te l’ha detto?» chiese in modo volutamente provocatorio, con il solo obiettivo di proseguire quella conversazione.

      «Mi hai obbligata o no a iscrivermi a Filosofia?».

      L’occhiolino strizzato da Carmen fece subito abbassare il livello di tensione al quale l’ispettore Castillo era arrivato pressoché istantaneamente: sulla scelta della facoltà universitaria aveva un nervo scoperto, frutto delle infinite discussioni avute al termine della scuola superiore con Carmen, che non voleva proseguire gli studi.

      L’aveva avuta vinta lui, alla fine.

      «E quindi la mia influenza è dovuta a una congiunzione astrale negativa. Bella questa. Ma io, più che alla stella Sirio o alla stella Polare - che sono poi le uniche due che conosco - credo al maledetto vento gelido di questi giorni! Dillo ai tuoi insegnanti di filosofia!».

      La risata fragorosa di Carmen fu accompagnata da una carezza alla mano del padre.

      «È la prima volta che ti vedo a letto ammalato, papà…».

      «Prima o poi doveva succedere, sai, figlia mia? Ma non preoccuparti: con un po’ di riposo, tornerò più in forma di prima. Tu, piuttosto, raccontami della tua giornata».

      Quella del racconto giornaliero era una consuetudine che l’ispettore Castillo era riuscito a mantenere con Carmen, mentre Mar se n’era liberata da un paio di anni, stanca di dover rendicontare ogni aspetto della propria vita al padre ispettore.

      «Ieri ho passato il mio primo esame universitario, papà!».

      La voce di Carmen squillò nella stanza, fiera e felice.

      «Ma come?!» disse l’ispettore «Io non ne sapevo nulla! Che esame era? Quanto hai preso? Cosa ti hanno chiesto? Raccontami tutto, subito!».

      «Ti volevo fare una sorpresa!» rispose la ragazza sorridendo, descrivendo poi con dovizia di dettagli l’esame di Storia della Filosofia, rendicontando puntualmente le domande ricevute, le precise risposte fornite, i commenti degli amici, la soddisfazione al momento della registrazione del voto.

      Castillo rimase ad ascoltare con la bocca semiaperta e la mandibola sul punto di cascare da un momento all’altro.

      Aveva la commozione facile, quando si trattava della figlia.

      Ma l’umore della serata ebbe un cambio repentino quando Carmen, terminato il racconto della giornata universitaria, passò alla cronaca del rientro a casa.

      «Purtroppo in serata è successa una brutta cosa, invece».

      «E cioè?».

      Questa volta Castillo si raddrizzò faticosamente sul letto, puntellandosi sui gomiti, con aria preoccupata.

      «Ho perso il telefono».

      «Uff… poteva andare peggio. Ma dov’è adesso, porco cane?».

      Carmen non poté non notare un principio di moto nervoso nella mano di suo padre.

      «Papà, se lo sapessi, non l’avrei perso. So per certo che quando sono scesa dall’autobus ce l’avevo con me…».

      Castillo iniziò a sudare.

      «E poi? Che hai fatto? Ma parli del telefono quello bello, che ti abbiamo regalato a Natale, che fa le foto e i video e ha il navigatore e tutte quelle cose che a me non servono ma che a te piacciono tanto?».

      «Esatto, papà. Purtroppo devo averlo perso durante la camminata che ho fatto attraversando il parco. Era così una bella giornata, accipicchia...».

      «Senti Carmen, torna indietro, rifai il percorso al contrario, magari lo trovi in terra, no? Sai quanto ci è costato quel telefono?».

      «Papà, la zona del parco della stazione la conosci, non è il massimo, sono le nove passate e fuori fa buio!».

      Castillo si rigirò verso la finestra per verificare.

      Lo spicchio di luna calante confermò l’affermazione di Carmen.

      L’oscurità avvolgeva Burgos e, dall’oscillare delle fronde dei pioppi che costeggiavano la strada di fronte alla camera dell’ispettore, si era anche alzato il vento.

      «E va bene, Carmen, se proprio non te la senti, lascia stare. Ma non pensare che avrai un altro telefono così, con quello che ci è costato! E lo sai, vero, che…» ma Carmen non lo lasciò terminare, interrompendolo cantilenando «… che io e la mamma facciamo sempre tutto il possibile per voi ma non possiamo permetterci e non vogliamo comunque comprarvi ciò che non serve».

      Gli sguardi di padre e figlia si incrociarono e Carmen percepì lo sforzo di suo padre per rimanere serio.

      «Amen» aggiunse allora lei, dandogli il colpo di grazia e riuscendo a farlo sorridere, prima di sciogliersi in un abbraccio di saluto.

      Tornò in cucina raccomandandogli un buon riposo, che non tardò più di dieci minuti ad arrivare: l’ispettore, febbricitante, si addormentò pesantemente.

      «Tutto bene?» chiese distrattamente Mar, rimestando il caffè fumante che la signora Conchita aveva appena preparato.

      La risposta di Carmen fu anticipata dallo squillo del telefono di casa.

      Le ragazze si guardarono stupite: da quando tutti in famiglia avevano un cellulare, l’apparecchio fisso era di fatto utilizzato solo da lontani parenti anziani per gli auguri di Pasqua e di Natale.

      La signora Conchita sollevò la cornetta sotto lo sguardo attento delle sorelle.

      «Sì, un attimo, gliela chiamo subito. Buona serata a lei, signore».

      Carmen e Mar si guardarono per un attimo con aria reciprocamente canzonatoria, fino a che la voce della signora Conchita interruppe quella scena da spaghetti western.

      «Carmen, è per te. Il signor Ronald, se non ho capito male».

      Carmen si alzò di scatto dalla sedia, urtando con il ginocchio la gamba del tavolo, che per il contraccolpo fece cadere la tazzina di caffè caldo addosso a Mar, solo parzialmente protetta dal tovagliolo.

      Il commento acido della sorella maggior non si fece attendere.

      «Vedi, basta la telefonata di uno sfigato qualsiasi per farla uscire di testa. Che sorella rintronata mi ritrovo!».

      Carmen era già volata al telefono, strappandolo dalle mani della madre, eccitata per quella telefonata inaspettata.

      Era la prima volta che Ronald la chiamava, fino a quel momento si erano semplicemente frequentati all’università scambiandosi qualche messaggio Whatsapp e qualche like su Facebook, ma nessuno dei due aveva mai chiamato l’altro.

      «Ciao, Carmen, come va? Scusa il disturbo, ma ti ho mandato un messaggio importante un paio