Mario Micolucci

Il Dono Del Reietto


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e sontuosi mantelli recanti il simbolo dell'Impero.

      Quando il convoglio fu passato, Arnold riprese a muoversi dicendo: «Finalmente, questi presuntuosi degli Imperiali lasciano la città.»

      «Ben detto! Erano qui da meno di tre giorni e già non ne potevo più della loro supponenza e del loro atteggiarsi: ci trattano come insignificanti guardie provinciali, eppure siamo noi che vigiliamo sui loro confini occidentali e, ogni giorno, teniamo lontane le insidie che vengono dalla Palude.»

      «Non ti sarai offeso perché ieri uno di loro ti ha chiamato stupido gorilla?»

      «Io offeso! Come ti permetti! E a te, allora, che hanno detto che pesi meno della tua armatura?»

      «Su non fare il permaloso! In fondo, se adesso questa città prospera lo dobbiamo soprattutto all'oro che le casse imperiali ci forniscono in cambio della resina miracolosa. E poi, ringrazia che non sia venuto anche l'Imperatore per una battuta di caccia!»

      «E già! Mi ricordo tre anni fa! Sono rimasti per ben quattro settimane e le guardie d'elite erano ancora più spocchiose e presuntuose di queste.»

      Superato il mercato, Jerome condusse la biga attraverso un'altra porta sorvegliata che, attraversando una cinta muraria, conduceva nella parte più interna della città. Lì le case, seppur lignee, erano molto più grandi e meglio rifinite. Un aspetto in particolare lasciò Djeek interdetto: mentre nelle piccole case della periferia erano ammassate molte persone, i grandi palazzi di quel quartiere erano abitati da pochi umani. Questi ultimi erano vestiti in modo bizzarro con abiti lindi, pieni di fronzoli e ricami la cui utilità gli risultava oscura. Stranezze degli uomini...

      La cosa che più lo infastidiva era l'odore nauseabondo, dolciastro e stomachevole dei fiori che infestavano davanzali e balconi con i loro colori vistosi e così diversi dalla bellezza grigiastra dei muschi e delle muffe che crescevano nella sua Grande Palude. Si rese conto di odiare quel quartiere perché era algido e privo di vitalità; non vi era traccia dell'inebriante caos che regnava nella sua terra d'origine... il mercato era senz'altro il posto migliore di Forte di Legno e, all'interno del mercato, il recinto dei conigli.

      Arrivarono davanti a un imponente e sontuoso palazzo a ridosso della cinta muraria interna: dal secondo piano dello stesso, partiva un lungo ponte coperto che scavalcava le mura conducendo ad un grosso edificio dai cui comignoli fuoriusciva del vapore. L'odore ricordava quello dei barili di Aliah: doveva essere lo stabilimento per la produzione della vernice ignifuga.

      Arnold attraversò il piccolo cortile, salì alcuni gradini e bussò con un bizzarro anello metallico all'enorme porta intarsiata. Poco dopo, venne fuori un umano dentro strani abiti neri e bianchi che lo tenevano imbrigliato in posizione eretta e rigida quasi quanto la sua veste pietrificata facesse con lui. I due si parlarono sottovoce e poi l'uomo dicendo: «Con permesso» rientrò in casa. La guardia attese fuori dalla porta, finché l'altro non uscì di nuovo annunciando: «Signori, il Maestro Aaron Mansil, Alchimista Reale». Venne fuori un uomo magro che portava le braccia dietro la schiena. Egli indossava una ridicola calzamaglia a strisce e un sontuoso corpetto decorato da diversi gioielli. Aveva dei lunghi baffetti le cui punte lambivano guance rossicce e una parrucca bianca con dei grandi boccoli ai lati. «Dov'è?» ringhiò con un ghigno feroce. «Dov'è l'assistente di quella strega millantatrice?»

      «Jerome, portagli il goblin» disse Arnold.

      La guardia sollevò con un braccio Djeek e lo pose in piedi dinanzi all'alchimista.

      «Un goblin?»

      «Un goblin.»

      «L'altra volta era un ladruncolo cavian, ora ha fatto addirittura di peggio!» Poi, mettendo in mostra il pezzo di trave bruciata che aveva in mano, chiese: «Sai cos'è questo, fetido goblin?»

      Djeek, paralizzato dalla paura, fece per balbettare una risposta, ma non aveva ancora aperto bocca quando Mansil gli sferrò una legnata sul naso che mandò in frantumi la piccola spranga. «Non mi interrompere, lurida bestia! È del legno bruciato… sì, bruciato nonostante il preparato della tua padrona! L'altro ieri, abbiamo subito un attacco da parte di un gruppo di briganti provenienti dal Buccaner e, alle prime frecce incendiarie, la sezione Sud-Ovest delle mura ha preso fuoco!» Quindi, tirando con furia assassina l'orecchio appuntito dell'inerme Djeek, urlò: «Hanno preso fuoco! Capisci stupido goblin! Se non trovo una soluzione sono rovinato! Ah, no! Stavolta quella strega non otterrà ciò che vuole... a meno che, non si presenti di persona e risolva la questione. Non si accettano più bizzarri assistenti e, soprattutto, non si accettano piccoli sgorbi puzzolenti!» Rifilò un calcio a Djeek mandandolo a rotolare per le scale come un barile, intrappolato com'era nella sua veste pietrificata. L'ultima cosa che sentì mentre perdeva i sensi fu: «Sbattetelo nelle segrete!»

      

      rg.191.FFF.F1E.8:9-9/06/11522 (Dharta Misathon)

      Procedeva lungo un tunnel profondo. Si inoltrava nelle viscere della terra e l'aria si faceva sempre più rarefatta, tuttavia anziché risentirne sentiva il suo vigore crescere sempre di più. Quando aveva fame, gli bastava staccare del minerale dalle pareti e divorarlo per sentirsi appagato e in forze. Si muoveva e si nutriva in un'estasi di bramoso piacere e, man mano che procedeva, il tunnel sembrava sempre più angusto, o forse era lui che diventava sempre più ingombrante. Ormai, avanzava raschiando contro le pareti di solida roccia che si sbriciolavano al suo passaggio cedendo docilmente all'esuberanza del suo vigore. Benché, ormai, la grotta lo calzasse come un abito e si lasciasse attraversare come burro caldo, decise di crearsi un po' di spazio e roteò su se stesso...

      Proprio in quell'istante, Djeek fu svegliato da un rivolo polveroso di minuscoli calcinacci che gli piombarono dal soffitto sul volto. Tossendo, cercò di portare il braccio al volto per pulirsi, ma si accorse che era bloccato a causa della manica pietrificata del suo vestito. Fu allora che riacquistò lucidità e ricordò di essersi rovesciato addosso la polvere alchemica. Con estrema fatica, alzò la testa e vide che, per fortuna, qualcosa aveva seriamente danneggiato la sua veste di pietra che ora risultava incrinata in più punti. Chiamò a raccolta tutte le sue forze e cercò di raggomitolarsi con più strattoni, finché la sua “camicia rigida” cedette crepandosi. Un po' intorpidito, si scrollò di dosso i detriti e si guardò intorno. La stanza era ampia, ma buia: l'unica fonte di luce era fievole e indiretta in quanto proveniente da una minuscola grata. Questa era posta su una porta pesante e putrida che dava su un corridoio nel quale ardeva un piccolo lume. Tuttavia, la vista da goblin gli permetteva di vedere abbastanza distintamente anche in quell'oscurità pressoché totale. L'antro era costruito con grossi blocchi di pietra ricoperti di muschio e il soffitto a cupola era alto almeno quattro volte la sua statura. La stanza aveva una forma circolare e sulle pareti, erano ricavate sei grandi alcove ed egli era in una di esse. Purtroppo, dalla sua posizione poteva constatare solo che l'alcova posta dinanzi a lui fosse vuota, mentre gli era impossibile guardare all'interno delle altre.

      Fece per camminare, ma si accorse che aveva una caviglia incatenata al muro. Proprio mentre si toccava la pancia ricordando che era passato molto tempo dall'ultimo pasto, udì vicino a lui un verso di roditore, ma stranamente ritmato. Si guardò intorno e scorse, non lontano da lui, una piccola sagoma simile a quella di un grasso ratto, ma senza coda e dal pelo molto lungo a chiazze bianche e nere. La curiosità per la stranezza della creaturina fu, però, subito annichilita dall'istinto predatorio che lo portò a lanciarsi per afferrarla e ci sarebbe sicuramente riuscito, se la catena non gli avesse ricordato di essere arrivato a fine corsa scaraventandolo a terra. Così, non poté far altro che osservare il piccolo roditore sgattaiolare via, fino a entrare in una delle alcove alla sua sinistra. Djeek si mise a sedere afferrandosi la caviglia dolorante, quando si accorse che, laddove la catena era inchiodata, la parete presentava una grossa crepa: gli bastarono alcuni strattoni per estrarla dal muro.

      Finalmente libero, nulla poteva impedirgli di catturare il bizzarro roditore che, nel frattempo, aveva ricominciato beatamente a emettere i suoi strani vocalizzi ritmati. Si acquattò e strisciò accanto alla parete. Arrivato in prossimità dell'alcova, fece un balzo con l'intenzione di chiudergli ogni via di fuga e... emise un urlo di terrore, poi cadde e si ritrasse istintivamente all'indietro strisciando sulle natiche. Si strofinò violentemente