Mario Micolucci

Il Dono Del Reietto


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ripulire bene l'arma e quindi a raccogliere in una fiala la saliva del rattopardo.

      «È un ingrediente alchemico alquanto ricercato, utilissimo per ricavare un antidoto contro il suo appestante morso» spiegò ai due che lo guardavano schifati.

      «Che paura! Non avrei mai creduto che in vita mia potessi io, finire mangiato da un ratto e non viceversa!» si sfogò Djeek il cui orgoglio era stato messo a dura prova da quell'esperienza.

      «Stupido sbruffone di un cavian!» gli sbraitò contro Fagorn che aveva recuperato il suo status naturale, cioè irato instabile, tendente alla furia. «Saresti tu il famoso infiltratore! Un infiltratore che si fa cogliere di sorpresa da una bestia grossa quanto una tigre.»

      «Non c'è di che! Sono alquanto lieto che tu mi sia grato per averti salvato la vita» replicò sarcastico l'altro, mentre con una pinza estraeva gli incisivi della belva per riporli in un sacchetto. Continuò: «Per tua informazione, il rattopardo è la cavalcatura delle truppe scelte rattoidi. È un dono di Ovathan ai suoi fidi servi ed è stato selezionato nei secoli per combattere efficacemente i loro nemici naturali tra cui si annoverano anche i cavian. Esso, nonostante la sua mole, è alquanto silenzioso, neanche un corristrello potrebbe sentirlo muoversi: d'altra parte è una creatura della dea della segretezza. E, se proprio vuoi saperlo, il suo odore è stato affinato nei secoli al fine di renderlo indistinguibile dal muschio persino al nostro finissimo olfatto. Vedi il sudore unticcio che ne ricopre il pelo? Ha proprio quella funzione.»

      «Bella lezione di bestiologia! Comunque… grazie!» bisbigliò imbarazzato il mago che si era reso conto di aver esagerato. Poi, per rompere la tensione, chiese: «Cos'era quell'arma che hai usato?»

      «Questo?» Prese a giocare a farlo muovere sotto e sopra facendolo rotolare e srotolare sul filo che lo avvolgeva. «Questo è un artefatto gnomico alquanto versatile, noi lo chiamiamo il “dono non gradito”. Come vedi, torna sempre indietro, tuttavia se lo apri, nasconde dei regalini come dire? poco azzeccati? ehm... che ti lasciano di stucco? Quella che avete visto è solo una delle sorpresine che vi si nascondono» spiegò.

      I tre varcarono la porta guardinghi ritrovandosi in un ampia stanza al cui interno erano ammassate ossa di varia natura, anche di origine umanoide. In alto, sul centro del soffitto, vi era una botola metallica a grata attraverso cui filtrava una fioca luce.

      «A quanto pare, il nostro caro Aaron sa bene come far sparire i suoi nemici!» commentò ironico Fagorn.

      «Be', vorrà dire che noi entreremo nella sua casa esattamente da dove, normalmente, fa uscire i suoi ospiti più sgraditi. Ritengo che questo ci avvantaggerà alquanto» osservò Girolamo fissando la botola.

      «Ma come facciamo ad arrivare lassù?» obiettò Djeek.

      Effettivamente la grata metallica era posta a un'altezza di almeno dieci passi.

      «È una situazione alquanto frequente nelle mia attività e sono attrezzato per questo» disse il cavian mostrando un sacchetto di velluto dal quale estrasse uno strano oggetto metallico. Era a forma di ferro di cavallo, con agganciato nella parte posteriore un anello grande quasi quanto un palmo e rivestito da una guaina di uno strano materiale nero, liscio e lucido.

      «Questo è un artefatto alquanto prezioso, tra i più preziosi che abbiamo nella nostra comunità. Esso è il bottino che mio nonno presentò al termine del suo Pellegrinaggio ottenendo, così, la carica di Granmaestro dei Doni. Pare che l'abbia prelevato addirittura dalla Torre Grigia sotto il naso dei paradartha, prole dei Dharta e primi Elfi grigi, i più sapienti e i più potenti. Come faccia a funzionare è un mistero anche per molti maghi runici, ma noi abbiamo condotto delle ricerche. Grazie a un altro artefatto, l'Occhio di Verahia, abbiamo potuto scrutarne l'interno: dentro la parte in metallo, pare ci sia un filo avvolto come le spire di un serpente intorno a un'anima di ferro. Per quanto riguarda l'anello, quando il Maestro dei Congegni ha usato l'Occhio su di esso, per poco non ci ha rimesso la vista: pare che ci sia un'enorme quantità di magicka che scorre al suo interno senza consumarsi.»

      Poi, con un atteggiamento solenne, simile a un prestigiatore che si esibisce dinanzi agli occhi rapiti dei bambini, proclamò: «E ora, Signori, se avete con voi oggetti metallici, allontanatevi alquanto e, visto che ci siete, portate via anche la mia sacca degli attrezzi... Sto per attivare la Stretta di Mano di Energon.»

      Djeek, portando con sé solo la sua veste malandata, decise di rimanere a osservare da vicino Girolamo che nel frattempo mosse una minuscola levetta a scorrimento posta nel punto di congiunzione tra le due parti.

      Al click, il goblin fu tirato per la manica da una forza misteriosa verso l'artefatto e andò a franare addosso al cavian che, nel cadere, ebbe il riflesso di disattivare l'artefatto.

      «Ehi! Alquanto ardito da parte tua! Guarda che non sei il mio tipo!» scherzò Girolamo anticipando e quindi mortificando sul nascere ogni tentativo di battuta di Fagorn.

      «No, guarda che ti sbagli!» replicò imbarazzato Djeek senza cogliere l'ironia.

      Girolamo gli sfiorò la manica e un ago simile a quello che aveva freddato la guardia comparve tra le sua dita abili. «A quanto pare, ne avevi un altro. E visto che l'ho ritrovato io, ora me lo tengo» aggiunse facendolo cadere in un piccolo contenitore che andò a riporre nella sua tasca.

      Djeek, ancora confuso, si sentì un po' depredato, ma non ebbe da replicare.

      «Bene! Alquanto bene! Dove eravamo rimasti?» Il cavian riattivò l'artefatto, lo legò a una corda attraverso l'anello, lo ricoprì con un panno imbottito, e lo lanciò in alto senza badare troppo alla mira. Questo, infatti, come se fosse animato da volontà propria, deviò il proprio volo aumentando di velocità fino a incollarsi alla grata soprastante con un suono attutito.

      «Bravo, non ci avevo pensato: se non l'avessi opportunamente rivestito, avrebbe fatto un fragore degno di una campana. Sei un tipo molto attento ai dettagli. Non pensavo che esistessero topi così svegli» osservò Fagorn.

      «Un tentativo alquanto maldestro di complimento, “nobile” Fagorn» ribatté l'altro che odiava sentirsi chiamare topo. Con una smorfia di stizza, prese ad arrampicarsi agevolmente lungo la fune.

      Una volta in alto, incastrò un gancio in una fessura, liberò la fune e ve la legò reggendosi con due dita alla grata; quindi agì sulla levetta della Stretta di Energon per disattivarla e riporla.

      «Toglietevi da lì sotto: è alquanto pericoloso!» intimò a bassa voce, mentre estraeva una siringa contenete acido ad alta concentrazione che, a contatto con i perni di fissaggio della grata, li sciolse come fango. Le gocce che piovvero a terra produssero sfrigolando dei piccoli fori.

      Si aggrappò con entrambe le mani al bordo dell'apertura e con la testa alzò lentamente il tombino fino a sporgere gli occhi oltre il pavimento della stanza che, come già aveva intuito grazie all'olfatto, si rivelò essere una cantina. «Naso alquanto buono non mente, vero Khiki?» bisbigliò soddisfatto. Il suo famiglio, passandogli sulla spalla, si avventurò nella stanza emettendo i suoi tipici vocalizzi.

      «Ehi! Che cosa c'è lassù?» domandò Djeek ad alta voce.

      Girolamo rispose con uno sguardo di rimprovero e tornò a concentrarsi sui vocalizzi del suo piccolo roditore. Quando si quietarono sostituiti dal rumore di masticazione, il cavian si issò per entrare nella cantina facendo cenno ai compagni di salire. Non appena girò l'angolo della nicchia in cui era posta la botola, ebbe una visuale più completa del posto: ciò che vide gli strappò un'imprecazione. «Per Givedon!»

      Allarmati, i compagni si diedero da fare per raggiungerlo. Djeek risalì la fune con buona lena: seppur imbranato, era pur sempre un goblin; Fagorn sudò e sbraitò non poco per tenergli il passo.

      Una volta sopra, lanciandosi sguardi per comunicare, si mossero con cautela rasenti il muro. Quando, ormai pronti a ogni evenienza, sbucarono nell'ampio locale sotterraneo, si trovarono di fronte a una scena che spiazzò tutte le loro previsioni.

      «Venite, accomodatevi e sollazzatevi alquanto!» li invitò, stravaccato su una grossa sedia imbottita, il rampollo della casata Bartolommei. Alzò un calice di vino rosso con una mano, mentre il