Laura Merlin

Morrigan


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in compagnia.

      Potrebbe sembrare una reazione esagerata, ma avevo davvero timore delle sue reazioni.

      Scrollai le spalle e con uno scatto mi alzai. Scesi le scale di corsa e infilai le mie Converse nere e rosa.

      Mi avviai verso il parco anche se la giornata non era delle migliori. Il cielo era offuscato da qualche nuvola che minacciava di far piovere da un momento all’altro, ma i trenta gradi che c’erano si facevano sentire molto bene.

      Accesi l’iPod, infilai le cuffiette e feci scorrere la playlist. Avevo un disperato bisogno di un po’ di musica che mi caricasse, così scelsi i Queen con Princes of the universe.

      Arrivata all’entrata del parco iniziai a correre.

      Mi piaceva quel posto, metteva allegria anche in giornate cupe come quella. Sembrava che lì nulla potesse smorzare il verde acceso degli alberi e dell’erba ben curata.

      Quella mattina c’erano pochissime persone. Di solito, a giugno, si potevano trovare molti bambini a spasso con i nonni anche alle otto di mattina. Invece era come se quel giorno si fossero tutti rintanati in casa e solo io avessi avuto la folle idea di uscire.

      La cosa non mi piaceva affatto.

      Raggiunsi la zona più distante e più bella del parco dove scorreva un fiumiciattolo attraversato da un ponte in legno ben tenuto.

      Stavo respirando a fondo quel dolce profumo di acqua e terra bagnata, quando un rumore attirò la mia attenzione.

      Mi tolsi le cuffiette per ascoltare meglio.

      Sembravano dei singhiozzi.

      Mi fermai e guardai un po’ in giro. Con il dorso della mano asciugai la fronte imperlata di sudore e feci qualche passo avanti sempre ascoltando da dove provenisse quel rumore.

      E la vidi.

      Era una vecchina dal viso dolce e dai capelli bianchi raccolti con cura in uno chignon. Stava piangendo, rattristata per qualcosa che non potevo sapere.

      â€¹â€¹Signora, tutto bene?›› chiesi avanzando piano di qualche passo.

      Accanto a lei c’era un cesto con dentro degli abiti. Stava semplicemente lavando dei vestiti nel fiume.

      Mi sentivo incuriosita e spaventata allo stesso tempo, senza sapere il perché. Dopotutto era solo una signora anziana, triste e sola per di più!

      â€¹â€¹Signora?›› riprovai con un tono più dolce dato che non sembrava avermi notata.

      Ormai ero vicina abbastanza da poter capire cosa stringeva tra le mani.

      In un primo momento pensai che potessero essere i vestiti del suo probabile defunto marito. Invece, guardando bene, notai che era una canotta troppo piccola per essere indossata da un uomo e troppo giovanile per essere sua.

      Strizzai gli occhi per vedere meglio e due cose mi fecero rimanere senza fiato.

      C’era un disegno su quella canotta bianca, una semplice farfalla rosa. Abbassai lo sguardo e vidi che era la stessa che indossavo io.

      Non aveva senso!

      Stavo ancora dormendo?

      Ma quando mi ero addormentata?

      No, ero sveglia e cosciente. Purtroppo.

      La vecchina era intenta al suo lavoro, impegnata a togliere una macchia.

      Una macchia rossastra e irregolare.

      Mi rilassai un attimo. Magari era di una nipote. Sì, sicuramente l’aveva sporcata e la nonna la stava pulendo.

      Ma perché piangeva?

      I miei occhi si bloccarono sul colore dell’acqua scarlatta che scendeva. Poteva essere una macchia di sangue fresco? Proprio all’altezza del fianco destro.

      La mia fantasia si era messa a viaggiare troppo velocemente. Era tutto così assurdo per essere vero!

      La nonnina si girò in lacrime e mi fissò con due occhi di ghiaccio che sembravano implorarmi di capirla.

      â€¹â€¹Mi dispiace››.

      â€¹â€¹Per cosa, signora?››, cercai di chiedere in tono calmo, ‹‹Cos’è successo? Perché c’è tutto quel sangue?››.

      â€¹â€¹Lo capirai… presto… mi dispiace tanto››, e ritornò al suo lavoro, sempre singhiozzando e lasciando che le lacrime le rigassero il volto già solcato da rughe.

      Avrei voluto consolarla, parlarle ancora, chiederle di più, ma non appena aprii bocca sentii un cane abbaiare.

      Mi girai e vidi che era lì, a due passi da me. Un lupo dal manto nero come la notte stava abbaiando nella mia direzione.

      Ebbi un attimo di timore per la signora e, quando mi girai per avvisarla, non c’era più.

      Né lei né il cesto dei panni.

      Il cuore perse un colpo, non potevo essermi immaginata tutto!

      Intanto il lupo avanzò verso di me e poggiò il naso umido sulla mia mano per attirare l’attenzione.

      Si fece accarezzare la testa, poi scattò in direzione della zona Nord-Est del bosco, la zona in cui di solito andavano le coppiette per appartarsi.

      In effetti era un posto abbastanza isolato, con grandi salici piangenti che potevano creare un ottimo nascondiglio.

      Io non c’ero mai andata perché mi sembrava un posto pericoloso.

      I dubbi dentro la mia testa svanirono quando sentii delle urla provenire proprio da quel punto e, senza nemmeno pensarci, corsi dietro al lupo.

      Dopo un paio di metri arrivai. Le urla erano più forti e potevo sentire delle voci. Spostai qualche ramo di salice e vidi tutta la scena.

      â€¹â€¹Sei solo una piccola stronza››, urlò la ragazza dai corti capelli biondi che le ricadevano tutti da un lato.

      â€¹â€¹No, ti prego, lasciami andare. Non ho fatto niente››.

      Voltai lo sguardo da dove proveniva quella voce. Era una ragazza semplice, con i capelli mossi e castani che le ricadevano sulle spalle.

      Una terza ragazza dietro di lei la teneva ferma per le braccia in modo che non potesse muoversi. Non diceva nulla, si limitava a sogghignare e masticare fastidiosamente una gomma. La cresta in testa colorata di rosa e verde e un sacco di piercing sulle orecchie e sul viso la facevano sembrare un maschiaccio.

      â€¹â€¹Cosa?›› disse la bionda ‹‹Tu, stupida ragazzina, sei andata a dire alla polizia che ti spilliamo soldi per la coca››.

      â€¹â€¹Io… io…››, balbettò la povera ragazza.

      â€¹â€¹Tu cosa? Ammettilo oppure…››. La mano della bionda scivolò nella tasca posteriore dei jeans, tirò fuori un coltellino a serramanico e con uno scatto fece uscire la punta che scintillò minacciosa davanti agli occhi della povera vittima indifesa.

      Odiavo i bulli. Era successo anche a me di essere preda di prese in giro, ma mai nessuno era arrivato al punto di minacciarmi con un coltello.

      Non lo concepivo, questo era troppo.

      Notai l’espressione della povera ragazza. Era terrorizzata, piangeva a dirotto e le era perfino colato quel poco trucco che si era messa sugli occhi.

      Come si poteva trattare così una povera ragazza indifesa?

      Qualcosa dentro me cominciò a fremere. Senza che me ne accorgessi, le gambe si mossero da sole, come attirate da una forza esterna.

      â€¹â€¹Ei, lasciatela