della Luce.
Thor provò un dolore al petto vedendo il cielo oscurato da creature malvage: sembravano dei gargoyle che volavano in cerchio attorno a ciò che restava dell’isola, come avvoltoi che riempivano l’aria gracchiando. Ce n’era un esercito e sotto di loro l’isola intera era in fiamme. Non c’era un solo angolo rimasto indenne.
“PIÙ VELOCE!” gridò Thor contro il vento, sapendo che era tutto inutile. Era la sensazione di maggiore inutilità che mai avesse provato in vita sua.
Ma non c’era effettivamente niente di più che potesse fare. Guardò le fiamme, il fumo, i mostri che se ne andavano, udì Licople ringhiare sopra di lui e capì che era troppo tardi. Niente poteva essere sopravvissuto. Tutto ciò che si fosse trovato sull’isola –Ragon, Guwayne, qualsiasi cosa – era ora sicuramente morto.
“NO!” gridò Thor maledicendo il cielo mentre l’oceano gli spruzzava il viso e lo portava, troppo tardi, verso quell’isola di morte.
CAPITOLO DUE
Gwendolyn era sola, di nuovo nell’Anello, nel castello di sua madre, e si guardava attorno rendendosi conto che qualcosa non andava. Il castello era abbandonato, senza arredamento, tutto ciò che c’era un tempo era stato portato via. Le finestre erano sparite, le bellissime vetrate che un tempo le avevano adornate erano perdute e non restavano che delle aperture nella pietra che lasciavano filtrare la luce del tramonto. La polvere vorticava nell’aria e quel posto sembrava non essere mai stato abitato negli ultimi mille anni.
Gwendolyn guardò fuori e vide il paesaggio dell’Anello, un luogo che aveva un tempo conosciuto e amato con tutto il cuore e che ora era desolato, rivoltato, reso grottesco. Sembrava che nulla di vivo vi fosse rimasto.
“Figlia mia,” disse una voce.
Gwendolyn si voltò e fu scioccata di vedere sue madre lì in piedi a guardarla, il volto tirato e sofferente, non la madre che ricordava. Era la madre del suo letto di morte, la madre che sembrava essere invecchiata troppo rapidamente tutt’a un tratto.
Gwen provò un nodo in gola e si rese conto che, nonostante tutto ciò che era successo tra loro, le mancava un sacco. Non sapeva se le mancava esattamente lei o il vedere tutta la sua famiglia, qualsiasi cosa di familiare nell’Anello. Cos’avrebbe dato per tornare di nuovo a casa, per tornare di nuovo in mezzo a qualcosa di familiare.
“Madre,” rispose Gwen stentando a credere alla vista davanti ai suoi occhi.
Si allungò per raggiungerla ma non appena lo fece si trovò improvvisamente da un’altra parte, su un’isola in cima a una scogliera. L’isola era desolata ed era appena stata ridotta in cenere. Il pesante odore di fumo e zolfo impregnava l’aria e le bruciava le narici. Osservò quell’isola e mentre le ondate di cenere si dissipavano al vento, si guardò attorno e vide una culla dorata, annerita dal fumo, l’unico oggetto in quel paesaggio di braci e ceneri.
Il cuore le batteva forte in petto mentre vi si avvicinava, così nervosa di scoprire se suo figlio fosse là dentro e se tutto andasse bene. Ma un’altra parte di lei temeva che non ci fosse o peggio che potesse essere morto.
Gwen corse in avanti e si chinò a guardare la culla e il cuore le balzò in gola quando vide che era vuota.
“GUWAYNE!” gridò angosciata.
Udì un ruggito provenire dall’aria, un grido che rispondeva al suo, e sollevando lo sguardo vide un esercito di creature nere, simili a gargoyle, che se ne stavano andando. Le si fermò il cuore vedendo che l’ultima teneva tra gli artigli un bambino che piangeva. Lo stavano portando via verso un cielo cupo, era stato rapito da un esercito di oscurità.
“NO!” gridò Gwendolyn.
Gwen si svegliò gridando. Si mise a sedere a letto e guardò ovunque cercando Guwayne, allungando le mani per salvarlo, per afferrarlo e stringerselo al petto.
Ma non c’era.
Gwen rimase seduta a letto respirando affannosamente e cercando di capire dove si trovasse. La fioca luce dell’alba filtrava dalle finestre e le ci volle un po’ di tempo per capire dove si trovava: il Crinale. Il castello del re.
Sentì qualcosa sulla mano e abbassando lo sguardo vide Krohn che la leccava e poi le appoggiava la testa in grembo. Gli accarezzò la testa mentre si metteva a sedere sul bordo del letto, ancora con il fiatone, prendendo lentamente l’orientamento ma sempre con il peso del sogno appena fatto sulle spalle.
Guwayne, pensò. Il sogno le era sembrato così reale. Era più di un semplice sogno, lo sapeva bene: era stata una visione. Guwayne, ovunque si trovasse, era in pericolo. Una qualche forza oscura lo stava portando via. Lo sentiva.
Gwendolyn si alzò in piedi, agitata. Più che mai provava l’urgenza di trovare suo figlio, di trovare suo marito. Voleva più di ogni altra cosa vederlo e stringerlo. Ma sapeva anche che non poteva essere.
Asciugandosi le lacrime si avvolse addosso il suo scialle di seta e attraversò velocemente la stanza sentendo la pietra fredda sotto i piedi scalzi e fermandosi accanto all’alta finestra ad arco. Scostò la vetrata colorata e la soffusa luce del giorno entrò mentre il primo sole stava sorgendo inondando la campagna di scarlatto. Era una scena mozzafiato. Gwen guardò verso il Crinale, l’immacolata capitale e la sconfinata campagna tutt’attorno, le ondeggiati colline e le abbondanti vigne, la maggiore ricchezza che mai avesse visto in un posto. Oltre si scorgeva il blu luccicante del lago illuminato dal giorno e oltre ancora i picchi del Crinale che disegnavano un cerchio perfetto circondando quel posto ancora velato di nebbia. Sembrava un luogo contro il quale non potesse scatenarsi alcun male.
Gwen pensò a Thorgrin, a Guwayne, da qualche parte oltre quelle cime. Dove si trovavano? Li avrebbe mai rivisti?
Andò al catino dell’acqua e si bagnò il viso, poi si vestì rapidamente. Sapeva che non avrebbe trovato Thorgrin e Guwayne standosene seduta in quella stanza e sentiva più che mai che doveva fare qualcosa. Se qualcuno poteva aiutarla, forse questo era il re. Doveva esserci un modo.
Gwen ripensò alla sua conversazione con lui quando avevano passeggiato tra i picchi del Crinale e avevano guardato Kendrick partire; ripensò ai segreti che le aveva rivelato. Che stava morendo. Che il Crinale stava morendo. C’erano altri segreti che le avrebbe rivelato, ma erano stati interrotti. I suoi consiglieri lo avevano richiamato per degli affari urgenti e lui se n’era andato promettendole di rivelarle di più e avvisandola che le avrebbe chiesto un favore. Di cosa si trattava? Cosa poteva volere da lei?
Il re le aveva chiesto di incontrarla nella sala del trono al sorgere del sole e Gwen ora si affrettava a vestirsi sapendo di essere già in ritardo. Il suo sogno l’aveva lasciata intontita.
Mentre correva attraverso la stanza Gwendolyn provò una fitta di dolore: la fame sofferta nella Grande Desolazione ancora le pesava addosso. Guardò il tavolo di prelibatezze preparato per lei – pane, frutta, formaggio, dolci – e velocemente afferrò qualcosa mangiando mentre andava. Ne prese più del necessario e ne diede la metà a Krohn che piagnucolava al suo fianco e fu felice di mangiare qualcosa. Gwen era così riconoscente per quel cibo, per quel riparo, per quelle lussuose stanze che la facevano sentire come se in qualche modo fosse tornata alla Corte del Re, nel castello della sua infanzia.
Le guardie scattarono sull’attenti quando Gwen uscì dalla stanza aprendo la pesante porta di quercia. Passò oltre e percorse i corridoi di pietra del castello appena illuminati dalle torce che ardevano dalla notte.
Gwen raggiunse la fine del corridoio e salì una serie di scale a chiocciola, sempre con Krohn alle calcagna, fino a raggiungere i piani superiori, dove sapeva esserci la sala del trono del re. Già quel castello le era diventato familiare. Attraversò di corsa un altro salone e si stava apprestando a oltrepassare un arco che si apriva nella pietra quando con la coda dell’occhio scorse del movimento. Rabbrividì, sorpresa di vedere una persona nell’ombra.
“Gwendolyn?” disse la voce dell’uomo, piana e troppo affettata mentre lui avanzava dall’ombra con un sorrisino