sbatté le palpebre, con la polvere negli occhi, cercando di cacciare quei pensieri. Ora si trovava in tempi diversi e in un posto diverso. Guardò oltre e vide gli otto uomini dell’Argento aspettandosi di vederne migliaia. Ma la realtà calò lentamente su di lui e si rese conto che otto era tutto ciò che gli restava adesso: molte cose erano cambiate. Sarebbero mai tornati quei giorni di gloria?
L’idea che Kendrick aveva su come si diveniva guerrieri era cambiata negli anni e in quei giorni si era trovato a pensare che non si trattasse solo di onore e abilità, ma anche di perseveranza. Di capacità di andare avanti. La vita aveva un suo modo di gettarti addosso un sacco di ostacoli, calamità, tragedie, perdite, soprattutto cambiamenti. Lui aveva perso così tanti amici da non poterli neanche contare e il re stesso era vissuto meno di lui. La sua patria era scomparsa. Eppure lui continuava ad andare avanti, anche quando non era certo del motivo. Sapeva che lo stava cercando. Ed era forse soprattutto questa capacità di andare avanti che lo rendeva guerriero, che gli faceva superare la prova del tempo anche quando tanti altri cadevano. Questo separava i veri guerrieri da quelli effimeri.
“MURO DI SABBIA DAVANTI!” gridò una voce.
Era una voce sconosciuta, una voce che Kendrick doveva ancora abituarsi a sentire. Guardando avanti vide Koldo, il primogenito del re, con la sua pelle nera che lo faceva spiccare nel gruppo, lanciato alla guida del gruppo di soldati del Crinale. Il poco tempo che aveva avuto per conoscerlo gli era bastato per arrivare a rispettarlo: gli bastava guardare il modo in cui guidava i suoi uomini e come loro lo guardavano. Era un cavaliere al cui fianco Kendrick era orgoglioso di trovarsi.
Koldo indicò l’orizzonte e Kendrick guardò oltre vedendo ciò che stava segnando: in effetti lo udì prima di vederlo. Era un fischio acuto, come una tempesta di vento, e Kendrick ricordò il tempo trascorso nella Desolazione, quando lo avevano trascinato quasi privo di conoscenza. Ricordò la sabbia furiosa che ruotava come un tornado interminabile formando un solido muro che si ergeva fino al cielo. Era sembrato impenetrabile, come una parete vera e propria che aiutava a celare il Crinale agli occhi dell’Impero.
Mentre il fischio si faceva più forte, Kendrick ebbe paura all’idea di entrarci di nuovo.
“SCIARPE!” ordinò una voce.
Kendrick vide Ludvig, il più grande dei due gemelli, che tirava fuori un lungo panno bianco e se lo avvolgeva attorno al volto. Uno alla volta gli altri soldati seguirono il suo esempio e fecero lo stesso.
Vicino a Kendrick sopraggiunse il soldato che si era presentato come Naten, un uomo per il quale Kendrick ricordò di aver provato immediata ripugnanza. Era scontento che gli fosse stato assegnato il comando e non gli mostrava rispetto.
Naten ridacchiò guardando Kendrick e i suoi uomini mentre si avvicinava a loro.
“Pensi di guidare questa missione,” disse, “solo perché il re ti ha dato questo compito. Ma non sai neppure tenere i tuoi uomini al riparo dal muro di sabbia.”
Kendrick lo guardò torvo, vedendo nei suoi occhi un odio non provocato da lui. All’inizio aveva pensato che fosse indotto a comportarsi così solo perché si sentiva forse minacciato da lui, da uno sconosciuto. Ora però vedeva che era proprio un uomo cui piaceva odiare.
“Dagli le sciarpe!” gridò Koldo a Naten, impaziente.
Dopo un po’di tempo, mentre il muro si faceva sempre più vicino e la sabbia sempre più vorticosa, Naten diede finalmente il sacco con le sciarpe a Kendrick, lanciandoglielo e colpendolo con forza al petto mentre continuavano a galoppare.
“Distribuiscile ai tuoi uomini,” gli disse, “o finirete tagliati dal muro. A voi la scelta, a me veramente non interessa.”
Naten si allontanò tornando verso i suoi uomini e Kendrick distribuì rapidamente le sciarpe ai suoi passando accanto a ciascuno di essi e passandogliele una alla volta. Poi si avvolse la propria attorno alla testa e alla faccia come facevano quelli del Crinale, compiendo più giri e assicurandosi anche di riuscire a respirare. Vedeva a malapena, il mondo era velato e confuso alla luce.
Kendrick si preparò mentre si facevano ancora più vicino e il rumore della sabbia vorticante diventava assordante. Già a cinquanta metri di distanza l’aria era piena del suono della sabbia che sbatteva contro le armature. Un momento dopo la sentì.
Si tuffò nel muro di sabbia e fu come immergersi in un oceano turbolento di sabbia. Il rumore era così forte da poter a malapena udire il proprio cuore che gli batteva nelle orecchie mentre la sabbia avvolgeva ogni parte del suo corpo lottando per entrare e per infiltrarsi. Era così intensa e fitta da non riuscire a vedere Brandt e Atme che si trovavano a pochi metri da lui.
“CONTINUATE A GALOPPARE!” gridò Kendrick ai suoi uomini, chiedendosi se qualcuno di loro poteva sentirlo e cercando di rassicurare loro quanto se stesso. I cavalli nitrivano come impazziti, rallentando e comportandosi stranamente. Kendrick abbassò lo sguardo e vide che la sabbia gli entrava negli occhi. Spronò il suo cavallo con maggiore intensità pregando che non si fermasse sul posto.
Continuò a galoppare, pensando che non sarebbe mai finita, quando finalmente, riconoscente, emerse dall’altra parte. Galoppò fuori con i suoi uomini accanto, di nuovo nella Grande Desolazione, con il cielo aperto e il vuoto ad accoglierlo. Il muro di sabbia si calmò gradualmente mentre si allontanavano e la quiete prestò calò di nuovo. Kendrick notò che gli uomini del Crinale guardavano lui e i suoi con sorpresa.
“Non pensavate che saremmo sopravvissuti?” chiese a Naten mentre lo fissava.
Naten scrollò le spalle.
“Non me ne sarebbe fregato nulla comunque,” disse e si allontanò con i suoi uomini.
Kendrick si scambiò un’occhiata con Brandt e Atme mentre tutti si interrogavano nuovamente su quegli uomini del Crinale. Kendrick aveva la sensazione che sarebbe stato lungo e faticoso conquistare la loro fiducia. Dopotutto lui e i suoi uomini erano degli sconosciuti ed erano stati loro a creare quella scia di tracce causando loro un sacco di problemi.
“Avanti tutta!” gridò Koldo.
Kendrick sollevò lo sguardo e vide, nel deserto, i segni lasciati da lui e dagli altri dell’Anello. Vide tutte le loro impronte ora indurite nella sabbia, che conducevano fino all’orizzonte.
Koldo si fermò dove terminavano rimanendo fermo insieme agli altri, con i cavalli che respiravano affannosamente. Abbassarono tutti lo sguardo studiandole.
“Pensavo che il deserto le avrebbe cancellate,” disse Kendrick sorpreso.
Naten ridacchiò guardandolo.
“Questo deserto non cancella nulla. Non piove mai e tutto viene ricordato. Queste vostre impronte li avrebbero condotti dritto fino a noi, portando al crollo del Crinale.”
“Piantala di importunarlo,” disse Koldo a Naten con voce cupa e carica di autorità.
Tutti si voltarono vedendolo avvicinarsi e Kendrick provò un’ondata di gratitudine nei suoi confronti.
“Perché dovrei?” chiese Naten. “Questa gente ha creato il problema. Io potrei essere al sicuro all’interno del Crinale in questo momento.”
“Continua,” disse Koldo, “e ti mando a casa all’istante. Verrai cacciato fuori da questa missione e dovrai spiegare al re perché hai trattato il tuo comandante mancandogli di rispetto.”
Naten, finalmente umiliato, abbassò lo sguardo e si allontanò portandosi dall’altra parte del gruppo.
Koldo guardò Kendrick facendogli cenno con la testa in segno di rispetto, da comandante a comandante.
“Mi scuso per l’insubordinazione dei miei uomini,” disse. “Come di certo anche tu sai, un comandante non sempre è in grado di parlare per tutti i suoi soldati.”
Kendrick annuì rispettoso, ammirando Koldo più che mai.
“Sono queste dunque le tracce lasciate dal tuo popolo?” chiese Koldo abbassando lo sguardo.
Kendrick