Морган Райс

Giostra Di Cavalieri


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      “Sfasciarla?” chiese Strom perplesso.

      Erec annuì.

      “Nel punto più stretto, dove le rive del fiume si incontrano, farai girare la nave di lato e la abbandonerai. Questo creerà un cuneo, la sorta di diga di cui abbiamo bisogno. Nessuno sarà capace di seguirci. Ora vai!” gridò Erec.

      Strom scattò in azione, seguendo gli ordini di suo fratello, che fosse d’accordo con lui o meno. Erec continuò a far navigare la sua nave insieme alle altre e Strom balzò da un corrimano all’altro. Quando atterrò sull’altra nave iniziò a gridare ordini e gli uomini scattarono in azione, tutti saltando, uno alla volta, fuori dalla nave verso quella di Erec.

      Erec era preoccupato mentre osservava le loro navi che iniziavano ad allontanarsi.

      “Alle funi!” gridò ai suoi uomini. “Usate gli arpioni e tenete insieme le navi!”

      I suoi uomini seguirono il suo comando e corsero verso il bordo della nave sollevando gli arpioni e lanciandoli in aria facendoli incastrare nella nave accanto tirandola poi con tutte le loro forze in modo che smettesse di allontanarsi. Questo accelerò il processo e decine di uomini balzarono da un corrimano all’altro afferrando tutti le proprie armi in fretta e furia mentre abbandonavano la nave.

      Strom osservava gridando ordini e assicurandosi che ogni uomo lasciasse l’imbarcazione radunandoli tutti fino a che a bordo non fu rimasto nessuno.

      Strom vide l’espressione di Erec che osservava con approvazione.

      “E che ne facciamo delle provviste sulla nave?” gridò Strom portando la voce al di sopra del frastuono. “E le armi di riserva?”

      Erec scosse la testa.

      “Lascia perdere,” gridò di risposta. “Mettiti dietro e distruggi la nave.”

      Erec si voltò e corse a prua, conducendo la sua flotta che lo seguiva e si immetteva nella strozzatura del fiume.

      “FILA INDIANA!”

      Tutte le navi si misero dietro di lui mentre il fiume giungeva al punto più stretto. Erec vi passò attraverso con la sua flotta e si guardò alle spalle vedendo le navi dell’Impero che si avvicinavano rapidamente, ora ad appena cento metri da loro. Guardò centinaia di soldati dell’Impero preparare gli archi e frecce dando loro fuoco. Sapevano di essere quasi a portata di tiro: c’era poco tempo da perdere.

      “ORA!” gridò a Strom proprio mentre lui, l’ultimo della flotta, entrava nella strettoia.

      Strom, guardando e aspettando, sollevò la spada e tagliò a metà le funi che tenevano la sua nave ancorata a quella di Erec. Nello stesso istante saltò sull’altra imbarcazione, al fianco del fratello. Tagliò le corde proprio mentre la nave abbandonata entrava nella strozzatura del fiume e si arenava senza più alcuna guida.

      “FATELA GIRARE DI FIANCO!” ordinò Erec ai suoi uomini.

      Tutti afferrarono le funi che restavano da una parte della nave e tirarono con tutte le loro forze fino a che la nave, scricchiolando, si girò lentamente di lato contro corrente. Alla fine, trasportata dall’acqua, si incastrò con decisione tra le rocce, fissata tra le due sponde del fiume mentre il legno scricchiolava e iniziava a spezzarsi.

      “TIRATE PIÙ FORTE!” gridò Erec.

      Gli uomini continuarono a tirare ed Erec accorse ad aiutarli. Tutti sbuffavano mentre tiravano con tutta la loro forza. Lentamente riuscirono a far girare la barca tenendola stretta mentre si incastonava sempre più a fondo tra gli scogli.

      Quando la nave smise di muoversi, ben incastrata, Erec fu finalmente soddisfatto.

      “TAGLIATE LE FUNI!” gridò sapendo che doveva essere ora o mai più e sentendo che la sua stessa nave iniziava ad arrancare.

      Gli uomini di Erec tagliarono le funi restanti sbrogliando la nave al momento giusto.

      L’imbarcazione abbandonata iniziò a collassare rompendosi e il relitto bloccò completamente il fiume. Un attimo dopo il cielo si fece nero mentre una raffica di frecce infuocate dell’Impero scendeva verso la flotta di Erec.

      Erec aveva guidato i suoi uomini fuori tiro giusto in tempo: le frecce atterrarono tutte sulla nave abbandonata cadendo qualche metro prima della flotta di Erec. Non fecero che incendiare il relitto creando un ulteriore ostacolo tra loro e l’Impero: ora il fiume era diventato impossibile da attraversare.

      “Avanti a piene vele!” gridò Erec.

      La sua flotta continuò a navigare a tutta velocità, prendendo il vento e allontanandosi dalla loro barricata. Proseguivano verso nord, ora salvi e fuori dalla portata delle frecce dell’Impero. Sopraggiunse un’altra raffica di frecce che questa volta atterrarono in acqua sibilando tutt’attorno alla nave mentre si immergevano.

      Mentre continuavano a navigare Erec stava a prua e guardava con soddisfazione la flotta dell’Impero che si fermava davanti alla nave in fiamme. Una delle navi nemiche tentò temerariamente di andarvi a sbattere contro, ma i suoi sforzi non valsero che a ritrovarsi incendiata a sua volta. Centinaia di soldati dell’Impero gridarono, avvolti dalle fiamme, e saltarono fuori bordo mentre la loro nave infuocata creava una barriera ancora più insormontabile. Guardando la situazione Erec si figurò che l’Impero non sarebbe stato capace di passare oltre per diversi giorni.

      Sentì una mano forte che gli stringeva la spalla e voltandosi vide Strom al suo fianco, sorridente.

      “Una della tue strategie più ispirate,” disse.

      Erec gli sorrise.

      “Ben fatto,” rispose.

      Erec si voltò e guardò il fiume davanti a sé, le acque che serpeggiavano in ogni direzione. Questo non gli diede conforto: avevano vinto quella battaglia, ma chissà quali altri ostacoli si trovavano innanzi?

      CAPITOLO CINQUE

      Volusia, con indosso i suoi paramenti dorati, si trovava in cima alla pedana e guardava i cento gradini d’oro che aveva fatto erigere come inno a se stessa. Allungò le braccia in fuori e si godette quel momento. A perdita d’occhio poteva vedere le strade della città gremite di gente, cittadini dell’Impero, i suoi soldati, tutti i suoi nuovi fedeli inchinati davanti a lei, con le teste che toccavano terra alla luce del primo sole. Cantavano tutti insieme, un suono leggero e continuo, partecipando al servizio mattutino che lei aveva creato come i suoi ministri e comandanti avevano loro insegnato: adorarla o affrontare la morte. Sapeva che ora la veneravano perché dovevano, ma molto presto lo avrebbero fatto perché ci avrebbero creduto.

      “Volusia, Volusia, Volusia,” cantavano. “Dea del sole e dea delle stelle. Madre degli oceani e messaggera del sole.”

      Volusia ammirava la sua nuova città. Erette ovunque si trovavano le statue d’oro che la rappresentavano come lei aveva ordinato di fare. In ogni angolo della capitale c’era una sua statua di oro splendente; ovunque si guardasse non si poteva che vederla e venerarla.

      Finalmente era soddisfatta. Finalmente era la dea che sapeva sarebbe diventata.

      Il canto riempiva l’aria come anche l’incenso che veniva bruciato su ogni altare. Uomini, donne e bambini riempivano le strade, spalla a spalla, inchinandosi, e lei sentiva di meritarselo. Era stato una marcia lunga e dura arrivare fino a lì, ma aveva fatto tutta la strada fino alla capitale, era riuscita a conquistarla, a distruggere gli eserciti dell’Impero che le si erano opposti. Ora finalmente la capitale era sua.

      L’Impero era suo.

      Ovviamente i suoi consiglieri la pensavano diversamente, ma a Volusia non interessava poi tanto cosa pensassero. Sapeva di essere invincibile, in qualche posto tra cielo e terra, e nessun potere di questo mondo poteva distruggerla. Non solo non si ritirava per la paura, ma piuttosto sapeva che questo era solo l’inizio. Voleva ancora più potere. Aveva in programma di visitare ogni Corno e Punta dell’Impero e distruggere tutti coloro che si fossero opposti a lei