di accoppare il Pastore!…
— Che dici?
— Dico che ho fatto bene a venir qui… per non pensare…
Si aggiustò il cappello sul capo e fece qualche passo verso la porta.
— Vengo con te?
Non gli rispose subito.
— Ma come hanno fatto a supporre che io mi trovassi in Questura?
Sembrava allegro. Prese Sani sotto il braccio.
— Vieni con me.
Sani, nel passare per la sua stanza, afferrò il cappello dall’attaccapanni. Il commissario lo trascinava quasi e andava in fretta.
— Occorre far presto.
Presero un tassì.
— Piazza Mentana! – gridò all’autista. – E non fermarti ai segnali di arresto. Penso io ai vigili.
— Sono quasi le dieci – gli osservò Sani. – Oramai i semafori non funzionano più.
— Già – mormorò.
Ma perché avevano fatto il suo nome? E lo avevano trovato nel suo ufficio! In fondo era proprio lì che lui non doveva andare, ma piuttosto in Piazza Mercanti o all’Hôtel d’Inghilterra.
Possibile che… Di nuovo, con violenza, s’interdisse di formulare alcuna ipotesi. Tutto, dopo. Tutto proiettato nel vuoto. Adesso, era ancora il momento dell’azione.
— Che cosa è accaduto, insomma? – chiese Sani.
Il tassì passava veloce per la piazza illuminata. I passanti fermi davanti ai caffè, sotto l’orologio, a gruppi, si scostarono disordinatamente. Scoppiò qualche imprecazione.
— È accaduto questo… Ma in realtà, che cosa è accaduto? Io non lo so. Posso ripeterti quel che mi ha detto Matteo al telefono. Conosci Matteo? Neppur io l’ho mai visto. È il custode della Chiesa e del Presbiterio. E Virginia è la vecchia governante del Pastore…
— Che ti ha detto Matteo?
— Mi ha detto: signor commissario, le telefono dal caffè di Piazza Mentana. Sono il custode della Chiesa Evangelica. Corra subito qui. Ho trovato il Pastore disteso in terra, in Chiesa… Fa sangue dalla testa, ma respira… È ancora lì disteso. Venga subito…
— E tre! – imprecò Sani. – Ma che c’entra il Pastore, adesso?… Già! Io non so neppure che cosa c’entrino gli altri due… Non so niente, io!
— Se tu credi che io sappia qualcosa! – mormorò De Vincenzi, senza sorridere. – Ma quel che poi non riesco assolutamente a comprendere è come mai Matteo abbia pensato di telefonare in Questura e di chiamare proprio me!
Sani lo fissò qualche istante. Era chiaro che cercava di capire perché De Vincenzi si meravigliasse di un fatto così semplice.
— E a chi volevi che telefonasse?… Trova il Pastore in terra, insanguinato… pensa naturalmente a un’aggressione… e telefona per chiamare aiuto. A chi vuoi che telefoni? Alla Questura!
— Naturale!… Ma perché proprio al commissario De Vincenzi?
— Non sei tu che ti occupi dell’inchiesta? Ti avrà veduto…
Il tassì sbucava sulla piazza.
— Lì di fronte. Davanti alla Chiesa… Sicuro! Può avermi veduto. Ma io non l’ho mai visto, l’ottimo Matteo, il quale era così ben informato da sapere anche il mio nome.
Tacque. Rifletteva. E poiché certo le sue riflessioni erano interne, lui pronunciò a voce alta, scandendo le parole, come per porre un problema, la cui soluzione del resto era lui che doveva trovarla:
— È vero, però, che nessuno poteva sapere con certezza che io mi trovassi in Questura e che potessi, quindi, accorrere subito.
E Sani non capì che importanza avesse un tal problema, impostato a quel modo.
Scesero dal tassì. Non fece quasi neppure a tempo a premere il bottone del campanello, che la porta si aprì.
— Venga subito, signor commissario.
Il vecchio Matteo era una specie di nano, sbilenco e sciancato. E aveva un solo occhio valido e una gran barba, non bianca o grigia, ma rossiccia, accesa, crespa e dura.
E quella gran barba fiammeggiante urlava ancor di più su quel volto magro ed esile, perché i capelli erano candidi e la pelle esangue, diafana, sopra gli zigomi ossuti.
— Avete chiamato il dottore?
— E dove? E come? Non ho pensato che a chiamar lei! Non glielo nego: in casa siamo soltanto Virginia e io e abbiamo avuto paura…
Erano entrati nel corridoio. Si sentiva venire dalle scale il suono legnoso dei tacchi della vecchia, che scendeva.
— Gesù! Gesù di misericordia!…
Pregava con voce eguale, incolore, senza lamentarsi, senza invocare. Come se ripetesse una nenia.
La luce verde della lampada illuminava i volti, rendendoli lividi.
— È qui giù… in chiesa… Venga…
— Un momento. Chi lo ha scoperto?
— Io – rispose il nano e fece per rimettersi in cammino.
— Fermatevi!
— Ma lui!…
— Avete detto che respira… Io non sono medico, del resto… – Si volse a Sani: – Va’ a telefonare alla Guardia Medica… che il dottore prenda un tassi, per venire…
Sani tornò indietro e uscì, richiudendo la porta dietro di sé.
— A che ora?
— Qualche minuto prima che chiamassi lei al telefono… Sono subito corso al caffè a telefonare… Non ho pensato ad altro.
— Perché siete andato in Chiesa?
— Ho sentito un grido e un tonfo.
— Ah! – camminò verso l’uscio nero. Adesso avrebbe riveduto il Cristo con le piaghe.
— E quando siete entrato in Chiesa, avete veduto qualcuno?
— No… Saranno fuggiti dalla porticina, che dà in via Sant’Orsola. La Chiesa ha un’uscita da quella parte.
E lui non lo sapeva. Quante cose non sapeva e di quante cose non si era preoccupato.
— Dov’è il cane?
Il nano alzò le braccia al cielo in atto di disperazione grottesca. Gli parlava del cane, in quel momento! Fu la donna che rispose.
— È scappato. Deve aver seguito Matteo. Ha trovato la porta aperta. Tornerà…
Naturalmente.
Si voltò di colpo:
— Ma perché avete chiamato proprio me?
— Come? E chi voleva che chiamassi?
— Giusto!… Ma come avete fatto a sapere il mio nome?
Il nano rimase senza fiato. La vecchia intervenne di nuovo.
— Sono stata io che gliel’ho detto. Lei è venuto qui due volte, oggi, e il Pastore mi aveva detto chi era…
— E anche vi aveva detto la ragione per la quale ero venuto?
— Oh!… Non hanno ucciso Giobbe Tuama?…
Tutte le lampade della Chiesa erano di nuovo accese.
Il Pastore giaceva disteso presso l’ultima colonna di destra, di fianco al pulpito. Aveva la faccia contro terra.
Il