Augusto De Angelis

Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi


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gli disse, quando furono sulla porta.

      E l’uscio si richiuse alle loro spalle.

      Come un automa, Norina tornò alle sue faccende.

      L’appartamento ricadde nel silenzio.

      Nella propria camera, la signora Magni, abbandonata in una poltrona, fissava il vuoto, con gli occhi pieni di lacrime.

      R

      «Un vittorioso, un fortunato della vita»

      De Vincenzi camminava in fretta e il dottor Marini gli si teneva al fianco. I due uomini tacevano.

      De Vincenzi pensava a Patt Drury. Strana creatura! Certo, sapeva più di quanto non volesse dire. Certo, qualcosa doveva essere accaduto alla vigilia o durante la notte, che la ragazza non ignorava e che conosciuto da lui avrebbe contribuito a fargli spiegare il mistero. Ed era egualmente certo che tra lei e il dottor Verga esistevano rapporti di simpatia, forse d’amore, forse intimi addirittura. Innamorati, fidanzati, amanti? Ma da tutte queste certezze dedurre che fossero complici e che quel giovanotto avesse ucciso il senatore Magni ci correva. Strano individuo umano anche lui! Era entrato visibilmente sconvolto e poi, non appena aveva saputo di trovarsi di fronte a un funzionario della Questura, s’era dominato al punto da apparire indifferente e sarcastico. Che cosa temeva al principio? Che cosa temette poi, quando seppe che il senatore era stato assassinato?

      Abile nel fingere, lo faceva sempre fuori tempo. Assai più padrona di se stessa, l’americana con tutta la sua freddezza ostentata, il suo cinismo ambiguo, la sua impertinente spregiudicatezza.

      E quella cameriera, che alla notizia della morte — notizia sorpresa, con l’ascoltare all’uscio, il che doveva far supporre ch’ella di qualcosa dubitasse — cadeva a terra come uno straccio!

      E la moglie del senatore, che viveva con la sua angoscia chiusa in cuore, mentendo per dissimularla!

      Tante persone, tanti enigmi e tutti punti del mistero. Che uomo era, dunque, il morto, per aver saputo creare attorno a sé un ambiente simile di tensione morbosa, di sotterfugio e d’intrigo?

      De Vincenzi si volse verso l’amico del defunto, che aveva voluto accompagnarlo e che adesso gli camminava al fianco, pensieroso in apparenza, ma evidentemente pronto a parlare dell’assassinato e ansioso di aver notizie, di conoscere particolari.

      «Povero Ugo!» mormorò quello, quando si vide osservato. «È terribile!».

      De Vincenzi assentì col capo e rallentò il passo.

      «Mi parli del senatore, lei che gli era amico…».

      «Oh! Ugo era un fortunato nella vita, un vittorioso. Vittorioso in tutto quel che intraprendeva, nella sua scienza come in politica, al tempo in cui si occupava di politica. Sulle donne e sugli uomini esercitava un vero fascino, quasi una suggestione. In amore poi non gli conosco disfatte. Le donne lo amavano…».

      Non c’era invidia o amarezza nelle parole di lui, ma più tosto ammirazione.

      «Aveva nemici?».

      «Nemici?… Non so. Può darsi. Certo, non si passa nella vita con una tal pienezza esuberante di passione e di energia, con una tal sicurezza di se stessi, senza destare invidie e gelosie. Ma io non gli conosco nemici…».

      Sembrò riflettere e poi ripeté, come a se stesso: «No, proprio non saprei vedere chi possa averlo odiato al punto di ucciderlo».

      Fissò il commissario: «Ma perché lei s’informa di tutto questo? Non è stato un delitto volgare? Non lo hanno ucciso per derubarlo?…».

      De Vincenzi gli rispose, sorvolando: «No, non sembra un delitto di teppa. Nulla è stato rubato di dosso al cadavere… E lei è stato compagno di studi del senatore?».

      «Sì. Siamo stati in collegio assieme. Oh! Anche allora, Ugo era un vittorioso. Sempre il primo a scuola, il più intelligente, il più forte, il più agile di tutti noi… E tutte le alunne esterne della classe ne andavano pazze. Lo chiamavano il bell’Ugo e si mettevano a rischio d’esser sorprese dai professori, tanto diventavano imprudenti, quando si trattava di passargli qualche bigliettino… Ricordo! Un giorno…». Il commissario lo interruppe. «Ma la moglie?!».

      «Che cosa vuol dire?» fece subito il dottor Marini,’ sollevando le sopracciglia.

      «La tradiva?».

      «Bah!… Senza dubbio, la tradiva. Ma era sempre pieno di premure per lei… corretto e deferente».

      «E la signora?».

      «Come?».

      «La signora lo sapeva che la tradiva?».

      «Ah!…».

      Fece qualche passo più in fretta, quasi volesse dissimulare le reazioni esteriori, che quella domanda gli produceva.

      De Vincenzi affrettò il passo anche lui.

      «Ha ragione di correre! Anch’io ho fretta».

      «Va in Questura?».

      «No».

      «Allora, non vuol confidarmi qualche particolare?…».

      «Vorrebbe vedere il suo amico?».

      «Certo!… Se è necessario… a ben pensarci, no, preferisco non vederlo. Non potrei più far nulla per lui e ne riceverei un’impressione troppo forte. Mia moglie me lo rimprovererebbe, ella sa quanto ero affezionato a Magni».

      «Ha moglie, lei?».

      «Sì».

      «Io la lascio. Debbo andare. Ma la prego di passare nel mio ufficio a San Fedele, oggi nel pomeriggio».

      «Sta bene».

      Il commissario gli tese la mano.

      «A rivederla. E sappia che conto molto sul suo aiuto, per trovare l’assassino del senatore».

      «Oh! Ci conti! Quanto è umanamente possibile… Ma io, sa?, se avevo molta dimestichezza con Ugo, ero ben lontano dal conoscere i particolari della sua vita intima e tanto meno i suoi segreti… Ci vedevamo spesso, in questi ultimi tempi, perché avevamo trovato un medium molto interessante e le sedute erano frequenti…».

      Il commissario, che stava per allontanarsi, si fermò di colpo.

      «Un medium?… Le sedute?…». «Ah! Non lo sa?… Non sa che il professor Magni era un fervente spiritista, come me, del resto?».

      «E chi vuole che me lo abbia detto?». «Credevo lo sapesse. La cosa è nota. Ugo non faceva mistero di tale sua convinzione… Ha anche scritto di spiritismo su riviste scientifiche ed era socio del Circolo di Studi Psichici di via Broletto… Anch’io lo sono…».

      «E queste sedute?». Il dottor Marini sorrise.

      «Che cosa crede? Lei pensa già a fantasmi bianchi, ad apparizioni di defunti, a teschi, a ossa da morto che danzano e a tutto il ciarpame romantico delle leggende…».

      «Io non penso a nulla!» lo interruppe bruscamente il commissario. «Ma ne parleremo oggi. Grazie, intanto».

      E s’allontanò. Quando fu all’angolo di via Cesare Battisti con via Corridoni, voltando a destra, guardò dietro di sé e vide il dottore che si era fermato e lo seguiva con lo sguardo.

      Un altro anello della catena anche lui! pensò De Vincenzi, mentre raggiungeva più in fretta possibile il negozio e sorrise dentro di sé, perché infatti anche in una seduta spiritica si forma la catena… A ogni modo, quell’amico ambiguamente sfuggevole gli aveva dato qualche particolare di gran conto e la storia delle sedute spiritiche era da ricordare. Ma si poteva supporre e ammettere che il senatore rincasasse tardi alla notte e talvolta non rincasasse affatto, perché trascorreva le nottate al Circolo di Studi Psichici? Questo era