Augusto De Angelis

Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi


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perspicace, lei!».

      De Vincenzi l’interrogava, senza guardarla. Sembrava assorto nella contemplazione di quei ferri lucenti. Si sarebbe detto che lo affascinassero.

      La giovane s’era appoggiata col dorso alla tavola di mezzo e lo fissava, facendo filtrare lo sguardo attraverso le palpebre socchiuse. Aveva una piega ironica alle labbra. Le pupille color malva le si erano incupite; fonde, erano. Le mani tese all’indietro, sul marmo, il petto e il corpo sporgenti, le gambe diritte saldamente puntellate in terra, la testa un poco rovesciata all’indietro, appariva realmente capace di turbare un uomo. De Vincenzi guardava i ferri.

      «Sola a Milano?».

      «Sola nel mio letto, sì…».

      «Nessun parente?».

      «A Lanecliff, sulle sponde dell’Hudson… esiste ancora un vecchio uomo, che può vantarsi d’avermi messa al mondo. Ma non se ne vanta neppur più, credo…».

      De Vincenzi si volse di scatto e la fissò: «Dove abita lei, miss… miss?».

      «Patt…».

      «… miss Drury. Dove abita, sola nel suo letto, come dice lei?».

      «In un piccolo appartamento… due stanze… cioè, una stanza e il bagno… in via Boccaccio…».

      «Numero?» chiese il commissario, che aveva tratto di tasca un notes, e la stilografica.

      «Trentacinque. Secondo piano».

      «E adesso?».

      «Come adesso?».

      «Adesso che il professore è… che non c’è più, che cosa farà?».

      «S’interessa alla mia sorte, lei? Gentile. Non so. Vedrò. Intanto rimango qui, fin quando non mi cacciano».

      «Ieri sera, uscita da questa casa, dove è andata?».

      La giovane ebbe un gesto. Aveva perduto un poco di quella sua imperturbabilità ironica. Se lo scopo di De Vincenzi era di stancarla, poteva credere d’esser vicino a raggiungerlo.

      «Continuerà per un pezzo, lei? Che cosa c’entro io, se hanno ucciso il professore? Se vuol trovare l’assassino, veda di far qualcosa di meglio, che interrogare me… Non sono una di quelle che svengono, io!».

      Il commissario fece mostra di non avere udito. Farla parlare voleva, e non sperava più che in qualche suo scatto.

      «Dov’è stata, ieri sera?».

      «Nel Klondike, a cercar l’oro…»

      «Stia attenta a non trovare invece qualcosa di meno piacevole!». «Che cosa?».

      «Miss Drury, voialtri in America possedete qualche mezzo per far parlare i testimoni recalcitranti, che noi in Italia non adoperiamo. Ma da noi non c’è nessuna legge che vieti di chiudere il testimonio in “guardina” e di tenercelo anche per alcune settimane…». La ragazza impallidì, ma continuò a sorridere. «Allora, lei mi interroga come testimonio?». «Fin quando non mi vegga costretto a mutare la sua qualità, rispetto alla legge…».

      «Ebbene, la vita privata di un testimonio non può interessarla…».

      «È in errore!» scandì freddamente il commissario. «M’interessa moltissimo, per esempio, sapere dove lei sia stata e che cosa abbia fatto ieri sera… e questa notte…».

      «Questa notte, ho dormito». «A che ora è rincasata?».

      «Forse alle dieci, forse alle undici… Non ricordo». «Il portinaio l’ha veduta rincasare?». «Glielo domandi». «E fino a quell’ora?».

      «Nulla di attraente per me e di interessante per lei… Metta il cinematografo, metta un caffè, metta quel che vuole… Oppure, creda che sia rimasta in casa a studiare l’uso delle pinze speciali per l’elettroemostasi… Può darsi che quest’ultima ipotesi sia la buona».

      «Me ne ricorderò» disse De Vincenzi, per non lasciarle l’ultima parola; ma la verità era che sentiva d’essersi cacciato in un vicolo cieco. Quella lì non voleva parlare e lui non aveva alcun mezzo capace di obbligarvela. Meglio era non insistere pel momento.

      Mutò tattica.

      «Del resto può aver ragione! Non è a lei che mi interesso, ma agli altri. Da quanto tempo era col professore?».

      «Due anni. Appena laureata».

      «E la cameriera, Norina mi sembra, da quanto tempo è in questa casa?».

      Le pupille dell’americana lampeggiarono.

      «Oh! Perché non lo domanda alla sua padrona? Io ce l’ho trovata».

      «Dunque, più di due anni» fece con pazienza il commissario. «Soffre di svenimenti?».

      La ragazza sorrise.

      «Anche questo può domandarlo a lei o alla sua padrona. Io non frequentavo la casa, sa? Quando avevo finito il mio servizio di assistente me ne andavo» Da qualche istante, De Vincenzi aveva la sensazione di un’altra presenza nella stanza. Si volse e vide un giovanotto sulla soglia della porta, che univa le due stanze dell’ambulatorio. Più che l’uomo, vide gli occhi che erano intensamente fissi sopra di sé. Subito lo affrontò.

      «Lei è il dottor Verga».

      «Precisamente!» fece quello con un gesto di meraviglia e venne avanti. «Che cosa è accaduto? Perché sta interrogando la signorina? Chi è lei?».

      Le domande s’erano seguite incalzanti, rapide. Il giovane guardava ora miss Drury con angoscioso stupore. Era manifestamente agitato e non cercava neppure di nascondere il suo nervosismo. Un bel ragazzo anche questo. Solido, piantato saldamente e pur agile. S’indovinava in lui un frequentatore delle palestre e dei maneggi. Aveva il volto regolare, ma pieno d’intelligenza. Gli occhi scuri, sotto l’arco delle sopracciglia disegnate sottilmente, mandavano una luce viva, che adesso palpitava affrettatamente.

      La ragazza lo guardò e alzò le spalle.

      «È un detective, Edoardo!».

      «Che vuoi dire?!».

      Il commissario li osservava. Si davano del tu, quei due!

      «Perché un detective? Debbo comprendere chi lei è…».

      «… un commissario di Pubblica Sicurezza» completò De Vincenzi.

      Di colpo ogni agitazione del giovane scomparve. La trasformazione fu istantanea, meravigliosa. Egli sorrise e assunse un aspetto assolutamente sereno. Si sarebbe detto che non avesse bisogno di altro per sentirsi rassicurato.

      «E perché si trova qui?» chiese con indifferenza. Che attore straordinario! Ma recitava poi davvero la commedia dell’ignoranza? De Vincenzi non poteva dubitarne. Tutte le sue reazioni erano sbagliate. Se sapeva fingere, non doveva essere molto forte in psicologia, quel giovane medico. Lo prendeva per un imbecille?

      «Sto interrogando la signorina e non lei! Verrà anche il suo turno».

      «Hanno rubato la Madonnina del Duomo e lei dubita che sia stata Patt… la signorina Drury o io a mettercela in tasca?».

      «Non accuso la signorina Drury di furto… e non l’accuso neppure di assassinio…».

      Il giovane fece un passo e si frappose tra l’infermiera e il commissario.

      «Non scherzi! Patt che c’entra?».

      «È lei che tenta di scherzare, senza riuscirvi molto bene, del resto!… Ma perché dice che miss Patt non c’entra?».

      «E come potrebbe entrarci?».

      De Vincenzi corrugò la fronte e, fissando il medico negli occhi, scandì con violenza: «In che cosa non c’entra? Di che parla, lei?».

      Il