Augusto De Angelis

Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi


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riflessioni furono interrotte da Gualtiero Gerolamo che, alzatosi dal tavolo, gli si era andato a mettere accosto, senza che lui lo avesse inteso. Una delle specialità dell’ottimo Gualmo era quella di cammina re come un gatto, a passi di velluto. De Vincenzi, nel vederselo davanti, sussultò: «Eh! Che vuole lei?!».

      «Dicevo…» proferì timidamente il pover’uomo. Il commissario gli scoppiò a ridere in faccia. Interdetto, l’altro s’interruppe. «Ride?».

      «Ma sì… Lei porta sempre il cappello in testa, qui dentro?».

      Pietrosanto esclamò: «Ah!» e se lo tolse in fretta. «Che vuole? Non capisco più niente, stamane!». «Che cosa diceva?».

      «Ecco… Debbo… dovrei andare di là, a prendere un volume…».

      «Ebbene, ci vada».

      «Già… Ma la pregherei di farmi accompagnare dal suo… da…» e indicava Cruni, che si teneva in un angolo.

      «Verrò io con lei…» disse il commissario, senza ridere più.

      Nel retrobottega, Pietrosanto si mise a cercare, nelle scansie. A un tratto, lanciò un piccolo grido: «Ah! Guardi qui commissario!». «Che cosa c’è?».

      «Dica che cosa non c’è più! Manca un libro…». «Come?».

      «Iersera qui c’era un volume, che adesso non c’è più». «Vuol dire che l’hanno rubato?». «Non so. Il fatto è che è sparito…». «Era un volume raro? Di gran prezzo?».

      «Di gran prezzo? Oh! Per i prezzi correnti, certo che era di gran prezzo. Vede? In questo scaffale non ci sono che libri rari, quei volumi che noi mostriamo soltanto ai bibliofili qualificati, ai clienti che possono spendere… Prezzo?… Sicuro… Forse duemila lire, forse più… Non posso dirglielo ancora, perché non so quale sia il volume che manca; ma glielo dirò». «Bravo!… Me lo sappia dire con precisione». E De Vincenzi si avviò verso il negozio. Mancava un volume! Che fosse raro o meno, per lui, ai fini dell’inchiesta, non importava.

      Era presumibile che l’assassino, il quale non aveva tolto di dosso al cadavere neppure un centesimo, né un gioiello, né altro di valore, avesse poi rubato un libro? Per raro che fosse, era difficilmente convertibile in denaro. E ad ogni modo, perché prendere un oggetto, che poteva denunziare colui o coloro che avessero tentato di esitarlo, quando vi erano lì, a portata di mano, tremila e più lire, che nessuno avrebbe potuto riconoscere come appartenenti al morto?

      Quando furono in negozio, Pietrosanto cominciò a compulsar febbrilmente schede ed elenchi, per trovare quale volume mancasse dalla scansia dei libri rari.

      De Vincenzi si mise a sfogliare un grosso atlante. Cruni taceva sempre, abituato, ormai, a quelle lunghe attese che, per chiunque altro meno dotato di paziente abulia, sarebbero state snervanti. Giovanni si tirava le dita e ogni tanto si sentiva il rumore caratteristico dei tendini accavallati. «Che diavolo è successo, dunque, che qui davanti c’è un gruppo di gente ferma!?… E lei perché sta tranquillamente seduto, mentre in negozio ci sono clienti?».

      Era entrato un ometto piccino e risecchito, con un pastrano lungo fino ai calcagni e un cappello floscio in testa, e si agitava, in preda a una collera sorda.

      Gualmo sollevò il capo dalle schede e, guardando il sopravvenuto coi suoi grandi occhi glauchi e miti, chiese con sarcasmo: «Clienti? Quali clienti?».

      «E questi signori, chi sono?» e l’ometto indicò De Vincenzi e Cruni, che tacevano, osservando la scena.

      «Quel signore è un commissario e l’altro è un brigadiere di Polizia…».

      «Ah!» fece l’ometto, impallidendo. «E che… che cosa… desiderano?».

      Balbettava.

      Nessuno gli rispose.

      Lui si turbò maggiormente, sotto lo sguardo scrutatore di De Vincenzi.

      «Che c’è?… Ma che c’è, dunque, Pietrosanto?…».

      «C’è… c’è… che stamane, quando ho aperto il negozio… ho trovato un cadavere di là…».

      «Che dice?!» urlò quell’altro.

      «Dico un cadavere!» ripeté con crudele soddisfazione il serafico Gualmo, che si vendicava in quel momento di due anni di tirannia.

      «Un cadavere!…».

      Girava attorno gli occhi come in cerca di soccorso.

      «Un cadavere!…».

      E il signor Chirico, padrone della libreria, si tolse il cappello e si grattò accanitamente la testa, dai capelli bianchi, tagliati corti, duri e diritti come una spazzola.

      «Vuol scherzare lei!».

      «Il suo impiegato non scherza! C’era proprio un cadavere nel suo negozio…».

      «Ma allora… allora…» fece Chirico, senza più fiato «hanno rubato?».

      «Che cosa voleva che rubassero?» esclamò Pietrosanto. «I libri?!».

      «E perché no?».

      «E un libro, lo hanno rubato, infatti. Ma questo non ha importanza, per ora» interloquì De Vincenzi.

      Il proprietario di tutti quei libri pensò che anche uno solo di essi aveva importanza per lui, ma non osò obbiettar nulla. Fece il gesto di grattarsi nuovamente la testa e si trattenne.

      «Conosceva il senatore Magni?».

      Chirico spalancò gli occhi.

      «Non vorrà dire?».

      «Conosceva il senatore Magni?».

      «Certo!».

      «Era suo cliente?».

      «No. Ma era socio del Circolo di Studi Psichici di cui io sono il segretario».

      «Ah! Lei è il segretario del Circolo di via Broletto?». «Precisamente». «Crede nello spiritismo, lei?». «Perché?» chiese l’ometto, che non voleva lasciarsi andare a una confessione di fede, proprio in quel momento. «Mi parli del senatore».

      «Uno scienziato. Un uomo affabile e senza boria. Interveniva a tutte le nostre sedute».

      «Le tenevano di notte?».

      «Ma no! Qualche rara volta di sera; ma di solito al pomeriggio».

      «E ieri sera, c’è stata seduta?».

      «No. Gliel’ho detto: assai raramente. Quando qualche socio lo chiedeva, perché impedito di giorno».

      «E l’ultima seduta alla quale ha partecipato il senatore, quando è stata?».

      «Tre giorni orsono… Sì, è proprio così, sabato scorso… oggi siamo a martedì…».

      «E oltre al professore chi assisteva a quella seduta?…».

      «Non rammento ora… ma potrò dirglielo… Eravamo in undici…».

      «Il dottor Marini?».

      «Quello era sempre presente, quando veniva il senatore. Ma lei come lo sa?».

      «E il medium chi era?».

      «Una donna».

      «Chi?» chiese De Vincenzi, martellando quel monosillabo con impazienza.

      «Una donna, che io vedevo per la prima volta e che era stata presentata da un socio…».

      «E il senatore la conosceva?».

      «Non credo».

      «E il dottor Marini?».

      «Neppure».

      «Desidero il nome e l’indirizzo di quella donna».

      «Glielo farò