Augusto De Angelis

Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi


Скачать книгу

agenti s’erano gettati sull’energumeno, che springava calci come un ossesso. Il brigadiere ne ricevette uno in uno stinco e bestemmiò.

      Dal portone uscirono due carabinieri e altri agenti. Fu tutto un ammasso di corpi in convulsione attorno a quel finto epilettico. Lui aveva la bava alla bocca e strabuzzava gli occhi. Non gli si vedeva — quando si riusciva a guardarlo in volto — che il bianco della cornea.

      Finalmente, legandolo con le cinghie che si erano tolte dai pantaloni, riuscirono a immobilizzarlo e lo portarono dentro di peso. Ma lui gridava sempre. Come un cane alla luna, con un lungo ululato lamentoso, che si ripercuoteva sotto l’androne e poi pel porticato del cortile. Lo gettarono sul pavimento della camera di Sani che era vuota. Subito, dalla porta della sua stanza apparve De Vincenzi. «Il solito attacco…» disse e crollò il capo.

      Era proprio l’individuo che la cartella segnaletica descriveva: un vigilato speciale, adusato a tutti i sotterfugi e a tutte le finzioni!

      «Prendete quella brocca d’acqua, lì nell’angolo…».

      Un agente l’afferrò dal lavabo a treppiede e ne rovesciò il contenuto sulla faccia dell’uomo. Quello ruggì. Ma smise di far smorfie e di digrignare i denti. Per la camicia aperta, l’acqua gli era entrata sul petto fino al ventre. Gli colava dai capelli. Steso per terra, il giovanotto ansava a mantice, con quel suo torace potente e popputo, come quello d’una donna.

      Si lamentava sempre più debolmente. La commedia stava per finire.

      «Mettetelo a sedere!».

      Il brigadiere che sentiva ancora il dolore allo stinco, gli allungò un calcio.

      «Che bestia! Tutti così! E che cosa ci guadagnano poi?».

      Gli agenti lo afferrarono e lo sollevarono sulla seggiola.

      L’uomo aprì completamente gli occhi, si guardò attorno e mormorò: «Chi siete? Dove mi avete portato?».

      «In Vaticano!» ironizzò un agente.

      «Toglietegli le cinghie» ordinò De Vincenzi. quando lo vide libero, gli si avvicinò.

      «Stai meglio?» gli chiese senza ruvidezza, L’altro non capì perché mai il commissario lo trattasse diversamente dagli altri. Ebbe un moto di stupore e non rispose.

      Attorno, gli agenti sogghignavano.

      «Voialtri andate» disse freddamente De Vincenzi. «Lasciatelo qui. Ci penso io».

      «Ma non c’è da fidarsi, commissario!» intervenne il brigadiere. «E un recidivo capace di tutto. E stato coatto».

      «Lo so. Ma non farà nulla. Tornate al vostro commissariato. Basterà che rimanga un agente di guardia sotto il portico…».

      E fece un cenno a uno della Squadra. Uscirono tutti.

      Il commissario chiuse la porta dietro all’ultimo, poi tornò verso l’uomo seduto, che, temendo un tranello, aveva contratto il volto e teneva gli occhi strabici volti a terra come nel ritratto. De Vincenzi lo fissò. Somigliava alla sorella. Gli stessi lineamenti. Anche il medesimo colore degli occhi. Soltanto, in lui, la crapula e il vizio avevano inciso segni profondi. «Puoi camminare?».

      Non ottenne risposta e gli mise una mano sulla spalla.

      «Alzati e vieni di là. Ho da parlarti». Il giovanotto si alzò e camminò verso la porta, che vedeva aperta davanti a sé. «Siedi».

      E quello si trovò nell’alone di luce della lampada, là dove poco prima stava seduta miss Drury, con le sue labbra troppo rosse, il corpo agevole e le gambe inguainate di seta.

      «Ho da darti una cattiva notizia, ragazzo mio!…

      Debbo farlo, anche se tu sei appena uscito da un attacco. Da quanto tempo soffri di epilessia?».

      Gli parlava con grande dolcezza. Sapeva benissimo che quello lì aveva fatto tutta una commedia; ma a che scopo metterlo di fronte alla propria finzione? Lo aveva giudicato al primo sguardo e aveva capito che non ne avrebbe cavato nulla a prenderlo di punta, con le minacce. E poi c’era quel cadavere sul marmo del Monumentale, che pure aveva il suo peso. Se davvero l’aveva strangolata lui, soltanto ad addormentarne la diffidenza, a fargli credere che non lo sospettava, poteva sperare di coglierlo poi di sorpresa e strappargli un gesto o una parola rivelatori. E se lui non l’aveva uccisa — e De Vincenzi era pronto ad ammetterlo — a che scopo incrudelire, ferendolo profondamente in un sentimento fraterno, che forse esisteva?

      L’uomo alzò gli occhi e guardò il commissario per un attimo. Subito lo sguardo gli fuggì di traverso, sul pavimento. Continuava a tacere.

      «Tu hai una sorella?».

      Sussultò.

      «Che c’entra con me?!».

      «Le vuoi bene?».

      «È per domandarmi questo che mi siete venuti a prendere nel mio letto, quando dormivo?».

      «Se le fosse accaduta una disgrazia, ti dispiacerebbe?».

      «Che dice?».

      Adesso, cercava di guardare il commissario in faccia. Aveva corrugato le sopracciglia e lo sguardo gli si era fatto duro.

      «Da quando non la vedi?».

      «Saranno tre o quattro giorni».

      De Vincenzi lo scrutò.

      «Sei andato a trovarla in casa del senatore Magni?».

      «Un paio di volte soltanto. Lei non poteva uscire… Avevo bisogno di parlarle…».

      «Tu o lei?».

      «Come fa a sapere che era lei?».

      «Perché ieri l’altro… domenica… fu lei che chiese un permesso alla padrona e venne da te…».

      «Non è vero. Domenica non l’ho veduta…».

      «Ne sei sicuro?».

      «Ho dormito tutto il giorno, domenica… Glielo può dire la mia padrona di casa… Nessuno è venuto a trovarmi…».

      «Tua sorella ha detto alla signora che doveva incontrarsi con te… per salutarti, perché tu dovevi partire…».

      «Fandonie!… Dove vuole che vada, io!».

      «A che scopo avrebbe mentito?».

      «Lo chieda a lei!».

      «Vuoi proprio che glielo chieda?».

      «Faccia come vuole!».

      Voleva sembrar calmo. Ma ebbe uno scatto.

      «Oh! Insomma, se è per quella storia del senatore, io non c’entro e ho persino consigliato Norina di andarsene da quella casa! Io sono quel che sono… ma lei è una brava ragazza e non voglio vederla battere i marciapiedi… E sempre così che si finisce!».

      «Che vuoi dire?».

      «Oh! Lei mi capisce! Ma si tratta di un signore e naturalmente tutta la colpa siete pronti a darla a quella povera stupida… Che è accaduto! L’hanno cacciata?».

      «È scappata…».

      Il giovanotto alzò le spalle.

      «E voialtri l’avete ripresa!… Rimpatriatela. C’è la mamma a Livorno… Creperanno di fame tutte e due!… Dove sta?… L’avete messa in guardina?… Ma se non ha fatto niente di male!».

      Sembrava sincero. Per quanto rotto alla continua lotta contro la legge, soltanto a essere un attore straordinario avrebbe potuto fingere con quella naturalezza, sapendo che sua sorella era stata strangolata e gettata nell’acqua melmosa della Darsena! De Vincenzi si convinceva sempre più che lui non c’entrava affatto nella morte di Norina. E in quella del professore? Poco probabile, a pensarci. Perché l’avrebbe condotto lì dentro, in quella libreria?… Ah!