Augusto De Angelis

Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi


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      Aveva parlato con accento di sincerità, seppure forse con eccessivo calore.

      «E chi è stato a darle il… consiglio di rivolgersi ad Harrington?».

      «Non ricordo!… E poi non si tratta di un vero e proprio consiglio… Si discorreva… qualcuno raccontò come quell’Harrington avesse scoperto l’autore di un furto in una gioielleria…».

      «Di via Santa Margherita…».

      «Precisamente!… E avesse rintracciato e recuperato la refurtiva…».

      «Già!…».

      «E io in seguito… a ripensarci… mi sono decisa e gli ho telefonato…».

      «Naturalmente. E lei non ricorda chi sia stato a parlarle di Harrington?».

      «No… Ci sto pensando… Ma che vuole? In questi giorni sono venute tante persone a trovarmi… Non avrei voluto riceverle! Proprio non ricordo… Del resto, mi sembra che la cosa abbia scarsa importanza».

      «Oh! Scarsissima!» si affrettò ad affermare De Vincenzi, per il quale invece aveva un’importanza capitale.

      «E quest’uomo… quest’uomo, che avete arrestato, ha confessato?… Se veramente è stato lui, deve esservi stato spinto da qualcuno…».

      «Un delitto per mandato. Sicuro!… Se è stato lui, non è che un assassino prezzolato, un sicario».

      La signora si era alzata.

      «Povero Ugo!» mormorò.

      Poi scosse il capo, come per allontanare da sé una visione d’incubo.

      «La vita!…».

      De Vincenzi le si era avvicinato. Lei gli diede la mano e il commissario si chinò a baciarla. «Abitudini da gran signore!» dicevano i colleghi, quando celiavano alle sue spalle.

      «Non dica ad Harrington che io mi sono rivelata. Tanto valeva che non gli facessi giurare il segreto».

      «Ma certo… E scusi, signora… se non è indiscretezza la mia… potrebbe dirmi quale somma ha versata ad Harrington per le sue ricerche? Mi perdoni, ma noi c’informiamo sempre di questo, perché desideriamo esercitare il controllo sulle Agenzie di Informazioni Private».

      «Oh! Non una grande somma, soprattutto se essa ha dato realmente qualche frutto… Duemila lire…».

      «Una somma equa. Grazie…».

      E l’accompagnò fino alla porta, che si apriva dalla camera di Sani sul porticato. S’inchinò. La guardò attraversare il cortile pieno di sole.

      Tornò sui suoi passi lentamente, senza badare a Sani, che lo seguiva con lo sguardo carico di interrogazioni. Rientrò nella sua camera; chiuse la porta.

      Dunque, Harrington avrebbe arrischiato la propria posizione, si sarebbe messo nelle condizioni di vedersi togliere la licenza, forse di peggio, per duemila lire?

      Assurdo! Eppure, quella donna non mentiva. O credere l’incredibile o non si poteva trovare ragione al mondo perché lei mentisse!

      Tutto all’aria di nuovo!

      Aveva sperato che, quando fosse riuscito a sapere chi aveva pagato Harrington, avrebbe saputo anche chi era l’autore dei due delitti! E invece…

      Tornò alla porta.

      «Sani!» chiamò.

      Quello accorse.

      «Siamo nell’inconcepibile, amico mio! È inutile che ti dica. Ci perderesti la testa, anche tu… E invece io ho bisogno che tu almeno la testa ce l’abbia a posto… Ascoltami… Prima di tutto, vai da Harrington, come t’ho detto; poi io ho bisogno che venga qui nel mio ufficio, nel pomeriggio di oggi… l’autista di casa Magni. Evidentemente, dovrei mandarlo a chiamare da un agente; ma non voglio. Non voglio che la sua padrona, né alcun altro della casa sappia che l’ho convocato. Capisci?».

      «È facile!».

      «Per questo mando te. Cerca di parlargli fuori di casa. Digli… digli quel che ti sembrerà opportuno, dopo che avrai studiato l’individuo. Fagli paura o lusingalo nella sua vanità…».

      «Lascia fare a me…».

      «Bene. Fatti dire a che ora potrà venir qui senza che la sua padrona o gli altri se ne accorgano».

      «Sì».

      «Non è finito! Manda un agente a convocare nel mio ufficio per questa sera alle dieci il dottor Verga… e anche costui ha da essere avvertito con molta cautela. Intesi?».

      «Intesi. L’avvertirò io stesso».

      «Grazie, era proprio quel che speravo da te…».

      «Arrivederci» fece Sani.

      E poco dopo lo si sentì gridare dall’altra camera: «Io vado. Ciao!».

      «Ciao!…».

      De Vincenzi si mise a passeggiare.

      Stava mettendosi il soprabito ed aveva già preso il cappello, quando entrò Cruni. Il povero brigadiere aveva la faccia scura scura, come se tornasse da un funerale.

      «Ebbene?… Che cosa t’è successo? Lo hai portato a San Vittore?».

      «Eh, sì! Ce l’ho portato. Ma l’abbiamo fatta grossa, cavaliere!». «Che vuoi dire?».

      «Quando ho consegnato il Ravizzani al direttore del carcere, questi lo ha guardato e poi ha esclamato: «Insomma, tu non puoi star più di tre giorni lontano da qui!… Sei appena uscito e ci rientri!». E si è voltato verso di me: «Che ha fatto? Qualche solito furto, vero?». «Eh, no» gli ho detto io «questa volta è grave. Ha assassinato il senatore Magni e Norina Santini. Guardi il mandato». Il direttore s’è gettato a leggerlo, come se non avesse creduto alle sue orecchie. «Ma quando è stato assassinato il senatore?» mi ha chiesto. «Nella notte dal 20 al 21». Allora, il direttore s’è messo le mani nei capelli: «Che avete fatto!». «Come che abbiamo fatto?!». «Ma se quest’uomo è uscito da San Vittore la mattina del 22… Guardate i registri…».

      Cruni aveva fatto il suo racconto tutto d’un fiato, con accento drammatico.

      De Vincenzi scoppiò in una risata.

      «Questa è buona!».

      «Lei ride?».

      «E, se non rido adesso, quando vuoi che rida?». Si mise il cappello.

      «Su, su non pensarci. Tutto va bene. Un paio di giorni di carcere al bigatt non faranno male!… Tutto va bene, ti dico!…».

      E rise ancora. Pensava alla faccia del Questore, quando lo avrebbe saputo.

      Sulla porta si voltò.

      «Il Panzeri sta sempre in guardina?».

      «Sì, signor commissario».

      «Bene. Andrà lui al posto del Ravizzani, a San Vittore».

      E uscì. Non si era mai sentito tanto allegro.

      R

      Colloqui… spiritici

      Quando fu all’angolo di via Cappellani, De Vincenzi si fermò ad attendere il tranvai, che lo portasse dalle signore Sorbelli, madre e figlia.

      Da tre giorni non sapeva decidersi a recarsi a casa della medium. Aveva pensato d farsela venire in ufficio; ma non ne avrebbe cavato nulla. La donna sarebbe arrivata, grossa e flaccida, assieme alla figlia, sottile e insignificante; avrebbero sciorinato tutte e due il repertorio delle loro frasi tornite e ravviate, delle loro parole preziosette e scolastiche, e tutto sarebbe rimasto al punto di prima.

      E