Luigi Pirandello

In Silenzio


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questo punto, Ninfarosa schiuse la porta, e parve spuntasse il sole in quella stradetta.

      Bruna e colorita, dagli occhi neri, sfavillanti, dalle labbra accese, da tutto il corpo solido e svelto, spirava una allegra fierezza. Aveva sul petto colmo un gran fazzoletto di cotone rosso, a lune gialle, e grossi cerchi d’oro agli orecchi. I capelli corvini, lucidi, ondulati, volti indietro senza scriminatura le si annodavano voluminosamente sulla nuca attorno a uno spadino d’argento. Nel mento rotondo, una fossetta acuta nel mezzo le dava una grazia maliziosa e provocante.

      Vedova d’un primo marito, dopo appena due anni di matrimonio, era stata abbandonata dal secondo, partito per l’America cinque anni addietro. Di notte – nessuno doveva saperlo – dalla porticina posta sul dietro della casa dov’era l’orto, qualcuno (un pezzo grosso del paese) veniva a visitarla. Perciò le vicine, oneste e timorate, la vedevano di mal’occhio, quantunque in segreto poi la invidiassero. Gliene volevano anche, perché in paese si diceva che, per vendicarsi dell’abbandono del secondo marito, aveva scritto parecchie lettere anonime agli emigrati in America, calunniando e infamando alcune povere donne.

      – Chi predica così? – disse, scendendo su la via. – Ah, Jaco Spina! Meglio, zio Jaco, se restiamo a Farnia noi soli! Zapperemo noi donne la terra.

      – Voi donne, – brontolò di nuovo il vecchio con voce catarrosa, – per una cosa sola siete buone.

      E sputò.

      – Per che cosa, zio Jaco? Dite forte.

      – Piangere e un’altra cosa.

      – E dunque per due, allegramente! Io non piango però, vedete?

      – Eh, lo so, figlia. Non piangesti neppure quando ti morì il primo marito!

      – Ma se morivo prima io, zio Jaco, – ribatté pronta Ninfarosa, – non avrebbe forse ripreso moglie, lui? Dunque! Vedete chi piange qua per tutti? Maragrazia.

      – Questo dipende, – sentenziò Jaco Spina, sdrajandosi di nuovo a pancia all’aria, – perché la vecchia ha acqua da buttar via, e la butta anche dagli occhi.

      Le vicine risero Maragrazia si scosse ed esclamò:

      – Due figli ho perduto, belli come il sole, e volete che non pianga?

      – Belli davvero, oh! E da piangerli, – disse Ninfarosa. – Nuotano nell’abbondanza, laggiù, e vi lasciano morire qua, mendica.

      – Loro sono i figli e io sono la mamma, – replicò la vecchia. – Come possono capirla la mia pena?

      – Ih! Io non so perché tante lagrime e tanta pena, – riprese Ninfarosa, – quando voi stessa, a quel che dicono, li faceste scappar via per disperati.

      – Io? – esclamò Maragrazia, dandosi un pugno sul petto e sorgendo in piedi, trasecolata. – Io? Chi l’ha detto?

      – Chi si sia, l’ha detto.

      – Infamità! Io? Ai figli miei? Io, che…

      – Lasciatela perdere! – — la interruppe una delle vicine. – Non vedete che scherza?

      Ninfarosa prolungò la risata, ondeggiando dispettosamente su le anche; poi, per rifar la vecchia della celia crudele, le domandò con voce affettuosa:

      – Su, su, nonnetta mia, che volete?

      Maragrazia si cacciò in seno la mano tremolante e ne trasse fuori un foglietto di carta tutto gualcito e una busta; mostrò l’uno e l’altra, con aria supplichevole, a Ninfarosa, e disse:

      – Se vuoi farmi la solita carità…

      – Ancora una lettera?

      – Se vuoi…

      Ninfarosa sbuffò; ma poi, sapendo che non se la sarebbe levata d’addosso, la invitò a entrare.

      La sua casa non era come quelle del vicinato. La vasta camera, un po’ buja, quando la porta era chiusa, perché prendeva luce allora soltanto da una finestra ferrata che s’apriva su la porta stessa, era imbiancata, ammattonata, pulita e ben messa, con una lettiera di ferro, un armadio, un cassettone dal piano di marmo, un tavolino impiallacciato di noce: mobilia modesta, ma di cui tuttavia si capiva che Ninfarosa non avrebbe potuto da sola pagarsi il lusso, coi suoi guadagni molto incerti di sarta rurale.

      Prese la penna e il calamajo, posò il foglietto gualcito sul piano del cassettone e si dispose a scrivere, lì in piedi.

      – Dite su, sbrigatevi!

      – Cari figli – cominciò a dettare la vecchia.

      – Io non ho più occhi per piangere… – seguitò Ninfarosa, con un sospiro di stanchezza.

      E la vecchia:

      – Perché gli occhi miei sono abbruciati di vedervi almeno per l’ultima volta…

      – Avanti, avanti! – la incitò Ninfarosa. – Questo gliel’avete scritto, a dir poco, una trentina di volte.

      – E tu scrivi. È la verità, cuore mio, non vedi? Dunque, scrivi: Cari figli…

      – Daccapo?

      – No. Adesso un’altra cosa. Ci ho pensato tutta stanotte. Senti: Cari figli, la povera vecchia mamma vostra vi promette e giura… così, vi promette e giura davanti a Dio che, se voi ritornate a Farnia, vi cederà in vita il suo casalino.

      Ninfarosa scoppiò a ridere:

      – Pure il casalino? Ma che volete che se ne facciano, se già sono ricchi, di quei quattro muri di creta e canne che crollano a soffiarci su?

      – E tu scrivi, – ripeté la vecchia, ostinata. – Valgono più quattro pietruzze in patria, che tutto un regno fuorivia. Scrivi, scrivi.

      – Ho scritto. Che altro volete aggiungere?

      – Ecco, questo: che la vostra povera mamma, cari figli, ora che l’inverno è alle porte, trema di freddo; vorrebbe farsi un vestitino e non può; che vogliate farle la carità di mandarle almeno una carta da cinque lire, per…

      – Basta basta basta! – fece Ninfarosa, ripiegando il foglietto e cacciandolo entro la busta. – Ho bell’e scritto. Basta.

      – Anche per le cinque lire? – domandò, investita da quella furia inattesa, la vecchia.

      – Tutto, anche per le cinque lire, gnorsì.

      – Scritto bene… tutto?

      – Auff! Vi dico di sì!

      – Pazienza… abbi un po’ di pazienza con questa povera vecchia, figlia mia, – disse Maragrazia. – Che vuoi? Sono mezzo stolida, ora. Dio ti paghi la carità, e la Bella Madre Santissima.

      Prese la lettera e se la cacciò in seno. Aveva pensato di affidarla al figlio di Nunzia Ligreci, che si recava a Rosario di Santa Fè, dov’erano i suoi figliuoli; e s’avviò per portargliela.

      Già le donne, sopravvenuta la sera, erano rientrate in casa e quasi tutte le porte si chiudevano. Per le straducole anguste non passava più un’anima. Il lampionajo andava in giro, con la scala in collo, per accendere i rari lampioncini a petrolio, che rendevano più triste col loro scarso lume piagnucoloso la vista malcerta e il silenzio di quelle viuzze abbandonate.

      La vecchia Maragrazia andava curva, premendosi con una mano sul seno la lettera da mandare ai figliuoli, come per comunicare a quel pezzo di carta il suo calore materno. Con l’altra, o si grattava a una spalla, o si grattava in testa. A ogni nuova lettera, le rinasceva prepotente la speranza, che con quella sarebbe alla fine riuscita a commuovere e a richiamare a sé i figliuoli. Certo, leggendo quelle sue parole, pregne di tutte le lagrime versate per loro in quattordici anni, i suoi figliuoli belli, i suoi dolci figliuoli non avrebbero più saputo resistere.

      Ma questa volta, veramente, non era molto soddisfatta della lettera che recava in seno. Le pareva che Ninfarosa l’avesse buttata giù troppo in fretta, e non era neanche ben sicura che ci avesse proprio messo l’ultima parte, delle cinque lire per il vestitino. Cinque lire! Che guasto avrebbero fatto ai suoi figliuoli, già ricchi,