e ciò solo se si hanno in mente i conseguenti della realità di Dio di Cartesio, di nuovo panteistica. Trovano così consenso e fondamento le tesi platoniche sulla reminiscenza da Hegel elaborate attraverso la teorizzazione di una voglia dello spirito di ricongiungersi all’universalità, ossia al tutto da cui la parte proviene, e trovano dunque in primo luogo accoglimento le tesi sulla spazialità della idea e sulla sua autonomia, esaminata in ottica differente tra Platone, il primo fondatore della scuola della anima. Mi si consenta tale ricostruzione, che si fonda sulle tesi di altri autorevoli autori, del desiderio innato di partecipazione all’idea di Dio o Tutto attraverso un innata sensazione, ossia lo stato embrionale, nutritivo, transferale, conflittuale per via della dialettica del desiderio di esistere fino al possesso diabolico dell’oggetto e alla negazione dell’Essere, ovvero il nichilismo e il dionisiaco, la materia finita e la sessualità o il vizio, estroversioni-introversioni, e fattore dunque tale ultimo di estroversione- introversione che da fondamento alle tesi platoniche della reminiscenza, che sono anche orientali, buddiste, le cui pagine di antica filosofia librano senza essere analizzate, la cui pratica si muove entro determinati canoni supposti sopra da altra angolazione e fattore che rivela da un lato, in tale determinismo logico, effettivo ed effettuale, in modo immediato la esistenza di Dio, che è già legittimata dalla provenienza, dal non conoscere il reale, e che qui riceve una conferma fenotipica modellata sulla sostituzione Dio con Padre e Madre, inespugnabile e costitutiva di malessere o benessere altrimenti neppure avrebbe senso teologico l’onorare il Padre e dall’altro, ancora e dunque, determina la innata valenza e validità dell’imperativo categorico ,cui aderiamo appunto perciò senza difficoltà alcuna, ovvero il rispetto della Legge e dei suoi cardini, la precedenza sacerdotale forse inconscia di Lacan ,nel tessere il gioco o le trame dei suoi significanti attorno ad un buco. E’ in tal modo che trascendiamo la materialità spaziale superandola in una metafisica data da essenza di schemi spaziali materiali(si ricordi che la parola metafisica indica ciò che va al di là del fisico)congiungendoci alla negazione della negazione, come definiva correttamente Derrida. Le tesi di Derrida che sono una specificazione delle affermazioni logiche hegeliane, e teologiche sono una derivazione, una esasperazione, un disceverare e una esaltazione conseguenziale della tesi hegeliana che si riferisce alla volontà della coscienza di disgregarsi per raggiungere la partecipazione al tutto che porta alla centralità della pulsione di morte, ovvero al viver per la morte, in quanto la disgregazione dell’io coincide con il suo morire, o con il suo assentarsi dalla esistenza, con il suo distaccarsi, con la follia non narcisistica del suo essere io che è separazione dall’altro io, ovvero uscita dall’immaginario, se ragioniamo nell’ottica di individuare come caratteristica del nulla la assenza di movimento temporale e di percezione spaziale di contatto derivata, o dal sentimento o dalla sensazione, e prima della riflessione non può esservi null’altro che l’io, la materia e il nulla, ovvero nulla di elaborato e nulla di pensato, la radice del concetto di stasi trascendentale e stasi materialistica si radica nella possibilità aperta dal nulla, ovvero dall’essere e dal suo essere procreativo. Ora l’assentarsi dell’io dall’esistenza attraverso quella capacità disgregativa che è a base del concetto stesso ed anche di stasi temporale materialistica, che concretizza l’influsso della sensazione, e di conseguenza della materia sulla psiche, determinando incontro, conciliazione, e fusione di temporalità oggettiva e soggettiva nel concetto, e nello status statico, deve rapportarsi a dolore e a piacere determinato dal perdurare e dal variare degli stati, e tale è la dialettica teologica della finitezza secondo Kierkegaard. Quel che più importa è che Derrida esalta nella definizione di superiorità ,esplicitata nella definizione di negazione della negazione il rapportarsi di tale negazione al nulla assoluto della negazione assoluta, un'altra e differente via del nichilismo e della potenza, negazione del nulla che diventa nello stesso tempo essente nel rispetto di come è concepito in chiave Platonica nel Parmenide, ovvero nell’essere e nel non essere , nella parvenza e nella illusione, nella assenza di significato e nel carattere non familiare del mondo, lo scetticismo che inizia da Cartesio positivisticamente e prosegue nel nichilismo di Camus distaccandosi, seppure quello di Camus è teologico, e esistenziale, a differenza della via marcata da Nietzsche, e comunque non è stato mai analizzato, un Nietzsche che se avesse potuto avrebbe realizzato nel suo portare la croce, forse superbamente , il nichilismo. Il tempo e il suo concetto si lega indissolubilmente al movimento che si esplica nella successione numerica della matematica che di conseguenza diviene una scienza divina che Platone ricercava giustamente nei suoi allievi. Platone ammirava poi la matematica per l’influenza che
su di lui ebbe Pitagora che a sua volta ricercava l’ordine nella mathesis di cui le sequenze
medievali di Fibonacci rappresentano la validità ed un tentativo fallito fermo restando quello del quale anche ci si riferisce con la trasmigrazione e le sue possibilità e di nuovo materia e finito e trascendenza. Ma mentre Fibonacci ricerca tale ordine in successioni Pitagora le concentrava nella perfezione del numero rispetto cui in aggiunta a Platone Aristotele pone il concetto di numero ideale ovvero la elevazione a potenza del numero in ottemperanza ad un carattere rissoso ma ubbidiente. Vi è da chiedersi se il numero esprime un rapporto ,o determina il rapporto. Sicuramente il numero può esprimere un rapporto. Il problema è l’uguaglianza delle parti in cui la successione numerica si struttura, e di questo si accorse Pitagora nel suo meritato aver già fondato il quantismo, ovvero moto, forza e successione divisibilità e indivisibilità. Ciò concretizza i discorsi sui numeri ideali platonici e il rapporto uguaglianza-parte numerica deve essere preso in considerazione in relazione alla mathesis pitagorica, ed ad una scienza del numero, ovvero se mancasse la uguaglianza è impossibile risolvere tale questione, fermo restando la teologia della misura, che pone la possibilità della assenza di misura , che pone la difformità come possibilità ed è questo di cui si avvede Pitagora, fino al concetto di antimateria che è attuale, mentre invece tutto il quantismo si racchiude in un positivo e in un negativo, in una attrazione e una repulsione, anche se non dice molto altro di quello che pone essendo la insolubilità di una antinomia. In basi a tali considerazioni si comprendono le derivazioni della stessa logica aristotelica che si radica nel numero 3(due premesse con una conclusione) dalla matematica (per Pitagora tre è il numero perfetto), ovvero anche Aristotele si interrogava sul sinolo sul congiungimento di materia e forma e logica che ha la fondata pretesa di essere una forma di partecipazione all’universale per concetti astratti fino a trasformarsi in creazione della comprensione del fenomeno attraverso collegamenti che sfidano la matematica quando sfociano in un irrazionale che solitamente è esistenziale. Con ciò si precisa che la qualifica irrazionale spetta anche a qualunque postulato che non reca seco un fondamento scientifico e il reale è razionale ma anche irrazionale secondo la logica degli opposti ciò di cui si avvede Popper nella sua previsione della impossibilità della verificabilità, ovvero una vera teoria non è verificabile, di nuovo la assenza di familiarità e la impossibilità, dialettiche dello scetticismo e del nulla come lo insegna Nietzsche nella sua predilezione per la irrazionalità romantica e dionisiaca, ovvero fino al dionisiaco, osservazioni, verificazioni: quindi prima che si classificasse il carbone come carbone esso era definito pietra, e il carbone rimaneva nella categoria dell’irrazionale del non compreso con la ragione non trovando la giusta valenza scientifica per la sua comprensione che è sempre razionale e necessariamente si deve osservare e verificare. Ovvero maggiormente è meno verificabile una teoria e maggiormente è attendibile fino a prova contraria in tali dialettiche nichilistiche dell’ignorante. Lo strutturarsi del linguaggio sorge in un ottica di relazione, anche in quanto in vista sempre di un raggiungimento di uno scopo, che si pone a fine dello stesso, i caratteri della motricità del linguaggio che giungono ad appropriarsi a tal fine dell’oggetto ideativo, ossia che residuano nella formalità, come appagamento proveniente dall’ oggetto ideativo che a tal scopo si può raggiungere, lavoro, controllo, strumento ed essenza. In virtù di tale rilevamento il dialogo ,ossia il linguaggio, è utilitaristico e ed è asservito alla pulsione di conservazione. Tale tesi vuole nello stesso tempo sostenere le ricerche di Noam Chomsky sull’origine genetica del linguaggio, e dunque organica delle primitive strutture linguistiche, la cui evoluzione motivazionale, delle isole, poggia sul sistema ripetendoci forse motivazionale- attivo di cui sopra, ma anche sul carattere passivo- automatico della conservazione- genetica, ovvero tale tesi vuole favorire la ricerca in termini di adesione-opposizione, tesi – antitesi nella passività del non essere e nell’attività dell’essere, deduzione, la cui delineazione potrebbe essere importante. Si coglie dunque la potenzialità della pulsione ,che sembra quasi