differenziazione delle tre forme del protosistema verbale di italiano lingua seconda è inferibile dall’uso, p. es. di presente e participio passato, in coerenza con le distinzioni temporali all’interno di una narrazione. Nei dati esaminati compare comunque una prova formale della costituzione di questo primo paradigma nell’uso di fini/si-fini opposto a finito in T a circa 3 m. di permanenza in Italia. Cfr.:
La forma fini probabilmente va ricondotta sia a una retroformazione da finito, che come abbiamo visto è, per la sua Aktionsart risultativa, estremamente disponibile per frequenza nell’input; sia al sostantivo fine (cfr. alla fini nell’esempio 9). La i finale che si ritrova sia nella versione del sostantivo che in quella del verbo va a sua volta ascritta a ipodifferenziazione di /i/ e /e/ finali atone nelle prime fasi nel caso del sostantivo e all’uso molto caratteristico di questo apprendente della desinenza di 2a sg. (cfr. sotto ess. 15, 16)4. È comunque evidente dagli esempi riportati che finito e (si-)fini per T si oppongono come parlato – parla (e parlare).
La strategia di costruzione a “parole e paradigmi”, per l’italiano, si esplica in modo particolarmente interessante nell’organizzazione delle persone del presente indicativo, che pur comincia in fasi relativamente precoci. Le sovraestensioni sembrano essere governate da principi generali (p. es. tutte le persone del singolare vengono sovraestese su persone del plurale, ma le poche sovraestensioni delle persone plurali rimangono nell’ambito di questo numero)5. Cfr.:
La frequenza nell’input di certe persone (solitamente la terza e la seconda singolari) può indurre presso certi apprendenti la prevalenza di una sola forma sovraestesa. A questo proposito, per l’italiano, la frequenza di sovraestenzioni della seconda singolare del presente indicativo è connessa con l’uso molto diffuso del tu impersonale nel parlato colloquiale, anche in contesti non del tutto appropriati, come mostra l’esempio (14), tratto dai materiali raccolti da Cereia (cfr. Cereia Fuso 1988).
In questo brano l’intervistatore racconta all’apprendente una sua esperienza passata e l’uso del tu impersonale, per quanto denotativamente inappropriato, è pur sempre adatto a “coinvolgere” l’interlocutore nel punto di vista del parlante.
L’uso di forme impersonali da parte dei nativi è probabilmente la fonte della frequenza di forme di seconda singolare spesso accompagnate da si in proclisi in T6, cfr.:
(15) | (T, 2 m.) | |
io non lo so, dove dove si-giochi | ||
“non so dove si gioca” | ||
(16) | (T, 3 m. circa) | |
il capoto, si-meti la capoto – non hai – io meti solo le *T-shirt* | ||
“il cappotto, (si) mettono il cappotto – non ce l’ho – (mi) metto solo le | ||
T-shirt”7 |
Occorre poi ricordare, anche se qui se ne può fare riferimento solo marginalmente, una certa permeabilità categoriale di queste forme, in parte indotta dalla omonimia dei più frequenti morfi nominali e verbali dell’italiano (p. es. -a: femm. sg. e terza singolare). Cfr.
La realizzazione estrema di questo tipo è esemplificata dai pidgin e dai creoli, che di solito adottano una sola forma verbale della lingua lessificatrice ed esprimono sull’asse sintagmatico le distinzioni di tempo-aspetto-modo e persona rilevanti.
Ciò è provato soprattutto dai creoli derivati da lingue con ricca morfologia, come il nubi (a base araba sudanese) i cui lessemi verbali lasciano tuttora trasparire la forma originaria: p. es. dakalu “entrare” < ar.sud. daxalu “essi entrarono” (ar. cl. daxaluu); gata “tagliare” < ar.sud. gataʔ
Uno stadio poco più avanzato, che ricorda in parte la situazione di interlingue di italiano e di tedesco è quello dell’afrikaans, che ha due sole forme nel paradigma verbale, cfr. skryf – geskryf (PRES. – PART. PASS.), delle quali la seconda si usa sempre insieme all’ausiliare het, p. es. ek het geskryf “ho scritto/scrivevo”. Analoga situazione si ritrova nel poco studiato italiano d’Etiopia (Habte-Mariam 1976), che ha due sole forme verbali: lëwrare (PRES. E PASS. DURATIVO; FUT.; IMPER.) e lëwrato (PASS./RISULTATIVO).
3.4 Strategia “entità e disposizioni”
Una seconda strategia di organizzazione dei paradigmi, che si manifesta nelle interlingue in regolarizzazioni analogiche nei casi di allomorfia di base (non lo leggio “non lo leggo”) o affisso (e ciò che riempisce “e ciò che riempie”) e in doppie marcature (presato “preso”) si interseca in stadi non iniziali di apprendimento con quella descritta sopra1.
In termini generali di analisi morfologica, queste formazioni sembrano evocare il modello cosiddetto a “entità e disposizioni” (o “items and arrangements”). Ne sono attestazioni anche forme quali ti-piacio “mi piace” (M a 1 m., 23 g. di permanenza in Italia)2 e forse il ricorrere di forme piane e non sdrucciole di terze plurali del presente indicativo presso apprendenti eritrei anche avanzati, ma non solo, p. es.:
La prosodia di queste forme potrebbe attestare la regolarizzazione di forme polisillabiche sia sulla base dell’infinito e del participio passato della prima coniugazione (cfr. entráre-entráto, ammazzáre-ammazzáto, ma non *eráre)3 sia nell’ambito più generale della prosodia più consueta per le parole dell’italiano.
Forme analogiche caratterizzano l’iter di apprendimento della distinzione dei paradigmi delle coniugazioni nel presente indicativo (cfr. correggia “corregge”, parta “parte”, succeda “succede”, E, F a poco più di 2 m. dall’arrivo in Italia, Cereia Fuso 1988:112) ma soprattutto l’apprendimento e la resa in fasi più avanzate. Interessanti sono, a questo proposito, le forme di condizionale preferiscebbe “preferirebbe” (E, 8 m.) formato sulla base della 3a singolare del presente indicativo e c-erebbe “ci sarebbe” (F, poco meno di 8 m.)4, formato su una base c-, come in c-è, c-era etc.
Diversamente dalle regolarità di formazione individuate dalla Bybee (1980), le analogie nell’apprendimento di lingue seconde mostrano un quadro più complesso, da analizzare puntualmente su un corpus ampio di apprendenti, come mostrano le forme finitavo “finivo” (E, 4 m.), rispetto a correrava “correva” (F, quasi 9 m.)5 e anche l’esempio seguente: