di italiano (fra cui il toscano) e anche il suo raddoppiamento in certe altre. A ciò sarebbe dovuto il ritardo nel suo apprendimento rispetto al suo omologo sordo e alle affricate dentali.
2 In conclusione, l’apprendimento del consonantismo dell’italiano lingua seconda, almeno per quanto riguarda questo primo gruppo di apprendenti, mostra come, all’interno del quadro fissato dai parametri dell’analisi contrastiva e valido solo per le lingue considerate di volta in volta, agiscano gli stessi principi generali di marcatezza che governano la costituzione dei sistemi fonologici nelle lingue prime di adulti. Questi condizionano il processo di apprendimento ritardando più o meno l’acquisizione dei fonemi della lingua di arrivo in funzione della maggiore o minor marcatezza che questi rivestono. In particolare, il grado di difficoltà nell’apprendimento del sistema fonematico della lingua seconda verrebbe variamente determinato da universali e tendenze indipendentemente dal sistema della lingua prima degli apprendenti per certi gruppi di consonanti (cfr. il caso di /tʃ/ di acquisizione precoce e di /dʒ/ di acquisizione piuttosto tarda) e in base al sistema primario per certi altri (cfr. il caso di /v/ e di /p/).La rilevanza dei fenomeni di marcatezza conferma i risultati di altri studi [p. es. Eckman 1977, 1981a e 1984] sui nessi iniziali e finali di parola nelle interlingue. Infine, lo studio di sequenze di apprendimento in fonologia può risultare utile alla verifica di universali e tendenze allo stesso modo dello studio dell’apprendimento della morfosintassi [per cui cfr. Comrie 1984].
3 Strategie di costruzione dei paradigmi verbali in lingua seconda1
3.1 Introduzione1
Le strategie di (ri)costruzione e di organizzazione dei paradigmi flessionali nell’apprendimento di lingue seconde sono un campo di studio interessante sia per la ricerca sull’acquisizione linguistica in senso stretto (dove sono state già trattate per le lingue prime, cfr. Peters 1985, MacWhinney 1985) sia perché possono servire alla verifica e al sostegno empirico di ipotesi teoriche nell’ambito più generale della morfologia.
A questo proposito lingue a isocronismo sillabico con un ricco inventario di morfemi grammaticali, come l’italiano, offrono prospettive di indagine migliori che non lingue a isocronismo accentuale con scarsa morfologia, come l’inglese, ma anche il tedesco, la cui non povera morfologia è oscurata dai noti fenomeni di riduzione di vocali atone e quindi di più difficile individuazione nell’apprendimento non guidato di lingue seconde (cfr. le forme [aːbait] e [aːbaitë] “lavoro/lavora(re)”, in [wan aːbait, aːbaitë obën], e il participio [gestorb] “morto” senza il suffisso, Klein-Dittmar 1979:133). Inoltre occorre tenere distinte lingue (o subsistemi) di tipo agglutinante e di tipo flessivo per le diverse condizioni di segmentazione e riconoscimento dei significati veicolati dai singoli morfemi, che presentano ovviamente problemi diversi di apprendimento. Per quanto riguarda invece il contesto dell’apprendimento, le osservazioni più istruttive si potranno trarre dall’apprendimento non guidato, dove si dovrebbero meglio manifestare le strategie di organizzazione/ costruzione di paradigmi in quanto insiemi di forme interrelate. Al contrario l’apprendimento guidato, anche nelle forme più lontane da quello “tradizionale”, comporta sempre una presentazione già organizzata in paradigmi del materiale lessicale (si ricordi la memorizzazione di forme-base quali lat. video, vides, vidi, visum, videre; fr. voir, voyant, vu, je, vois, je vis; ted. sehen, siehst, sah, gesehen, etc.)2.
3.2 Lingue prime e lingue seconde
Basandomi su dati di apprendimento dell’italiano come lingua seconda in contesto non guidato1, prenderò in esame alcuni aspetti di ordine generale dell’organizzazione dei paradigmi nel sistema verbale, il cui sviluppo si intreccia con quello dei paradigmi del sistema nominale senza che, per ora, si possa con sicurezza parlare della precedenza dell’uno sull’altro2.
Nell’organizzazione dei paradigmi verbali, apprendimento di lingue prime e di lingue seconde si differenziano nettamente, tra l’altro, per l’input che ne constituisce le condizioni di partenza. L’input per le lingue prime è infatti costituito in buona parte dal baby-talk, con il quale, per certi versi, l’adulto aiuta il bambino nell’operazione di segmentazione con la ripetizione di enunciati lievemente modificati (Peters 1981:237). In questo contesto, l’adulto fornisce al bambino anche una base cognitivamente adeguata per costruire i paradigmi verbali, riferendosi spesso, anche se non esclusivamente, ai partner dell’interazione con nominali pieni e, di conseguenza, verbi alla terza singolare (cfr. viéne il mio bambino “vieni qui subito”, Calleri 1987:6; cfr. anche Savoia 1984). Per questa via, che comporta l’analisi delle forme verbali in radice e morfema e la sua riapplicazione in base ai principi operativi di Slobin (1985), mi sembra si possa spiegare la frequenza di regolarizzazioni analogiche nei bambini, nota a livello interlinguistico, che in italiano riguardano in particolare formazioni del tipo dicio “dico” e simili (Berretta 1988a) e che in diacronia stabiliscono le vie privilegiate dei cambiamenti morfologici (Bybee 1980, 1985:50 sg.).
Nell’apprendimento non guidato di lingue seconde l’input è invece del tutto casuale e, a seconda delle condizioni sociali di apprendenti e comunità ospitante, può essere ricco di forme nel caso di frequenti e cooperative interazioni con nativi o via via sempre più povero fino all’estremo dello xenoletto, nel caso di forte distanza psicologica e sociale tra apprendenti e nativi. In ogni caso il compito di segmentare le parole riconosciute e di costruire i paradigmi della lingua di arrivo adottando eventualmente forme base da cui derivarne altre è funzione della frequenza e della salienza fonetica di certe forme nell’input (p. es. sillabe aperte non ridotte). Ciò può essere illustrato dall’esempio seguente (M dopo un mese di soggiorno in Italia)3:
3.3 Strategia a “parole e paradigmi”
L’organizzazione del piano paradigmatico della lingua di arrivo da parte degli apprendenti, in particolare dei paradigmi dei tempi verbali, si può ricondurre a tre strategie principali.
La prima strategia è caratterizzata dall’uso di parole polifunzionali tra cui si suddivide lo spazio semantico di un paradigma della lingua di arrivo, con la conseguenza di frequenti sovraestensioni, p. es.:
In base alla disponibilità e alla frequenza di forme dell’input, diverse a seconda dei singoli tipi lessicali, un paradigma viene così costruito come un puzzle, specializzando via via il significato grammaticale delle singole forme con l’aggiunta di nuovi elementi. Questa strategia ricorda l’impostazione a “parole e paradigmi” della teoria morfologica (Matthews 1975 tra gli altri) in quanto non comporta alcun processo di segmentazione da parte dell’apprendente, come mostra il caso di apprendenti eritrei di italiano1, che per il presente indicativo sovraestendono persone diverse a seconda dei lessemi, come mostra lo schema seguente:
Si noti che presso questi apprendenti non si hanno retroformazioni del tipo *anda, in sé plausibili per il grande numero di forme alla 3a sg. della prima coniugazione.
Nelle fasi più precoci le parole polifunzionali in questione coprono lo spazio semantico sia delle persone che delle distinzioni temporali-aspettuali e modali più basilari, cioè quelle tra presente abituale e atemporale, passato risultativo e modo di non-attualizzazione2.
Ciò è attestato dall’esempio (6), dove andate (pres. indic., 2a pl.) è di fatto in conflitto con andato (part. pass. m. sg.)3 e dagli enunciati in (7), che sono stati prodotti a poca distanza l’uno dall’altro nello stesso contesto di narrazione al passato.
In questa fase l’Aktionsart dei singoli tipi lessicali determina ovviamente, per la frequenza nell’input, la comparsa delle prime sovraestensioni (p. es. lavorare vs. finito vs. parla, hai, andate)