non lo prevedono, cfr.
Il significato temporale di a sembra comparire più tardi di quello spaziale nei dati longitudinali di TE, e prima con indicazioni orarie che di parti del giorno, cfr.
Osservazioni simili si possono fare anche in base ai dati degli apprendenti arabofoni, dove il significato temporale di a si riscontra di nuovo abbastanza presto con indicazioni orarie. Nell’esempio seguente esso sta ad indicare sia il tempo determinato, come nella lingua di arrivo, sia il momento iniziale in costruzioni del tipo dalle… fino alle…
Anche con le espressioni temporali abbiamo casi di a al posto di in (per cui v. il paragrafo precedente), come in:
Nel corpus degli arabofoni frequenti sono anche gli usi di a distributivo, cfr.
Un punto particolarmente interessante è l’uso di a per il dativo1. Nonostante in italiano questa funzione sia altrettanto basilare di quella spaziale, nelle interlingue dei diversi apprendenti abbiamo, almeno nei primi stadi, l’oscillazione tra preposizione zero, per (cfr. § 1.3.7), altre costruzioni come le seguenti:
In questi esempi, il verbo mancare, da una parte, è stato reinterpretato come transitivo con un soggetto umano (la terza persona rappresenta il risultato della semplificazione del paradigma verbale). Dall’altra parte, la difficoltà di rendere il dativo col verbo piacere è risolta, nello stesso frammento di conversazione, una volta con una forma di ausiliare e la resa del dativo come soggetto e una seconda volta come complemento introdotto da di2.
Nei dati longitudinali di TE abbiamo preposizione zero nella prima registrazione, cfr.
e alternanza tra zero e a circa un mese dopo, cfr.
Anche le prime registrazioni di TI non hanno dativi con a. Prima di proseguire la discussione, dobbiamo però prendere in esame la preposizione per.
1.3.7 Per
Per compare nei primi stadi di apprendimento col significato generico di fine/meta/benefattivo. Alcuni esempi:
Nel corpus degli arabofoni compaiono qua e là anche espressioni idiomatiche, come p. es. per niente, per cento, che vanno ovviamente considerate come unità a se stanti. Inoltre AP ha qualche caso di per strumentale, come p. es.
La caratteristica più interessante dell’uso di per è però il suo utilizzo per codificare il dativo nei primi stadi di apprendimento, come mostrano i seguenti esempi:
A questi esempi fanno riscontro altri casi di per per il dativo prodotti in conversazioni spontanee da apprendenti eritrei più avanzati di TI1. È facile individuare in quest’uso di per un’estensione del senso finale/benefattivo, più simile a quello dativo che non il senso locativo-direttivo di a. A questo proposito occorre notare che anche TE, che usa prevalentemente zero o a per il dativo, in un caso che compare abbastanza tardi nel periodo di osservazione utilizza per, cfr.
TE: | scrivo qualche lettera per mie figlie (16.7.86)2 |
La forte presenza di per dativo nel corpus di arabofoni e tigrinofoni può far supporre un caso di interferenza. Mi sembra però di poter escludere tale ipotesi per almeno tre ragioni. La prima è data dal fatto che per è usato per il dativo anche presso TE e che preposizioni analoghe si riscontrano anche in processi di apprendimento che vedono coinvolte altre lingue3. La seconda deriva dall’osservazione che, nonostante l’identità formale e funzionale delle funzioni di direttivo, dativo e finale nelle lingue prime, i nostri apprendenti usano da una parte a e in per la prima di queste funzioni e per per le altre due. Particolarmente istruttivo è a questo proposito l’esempio di AE1, già citato, e che ripetiamo qui:
In arabo a quest’esempio corrisponderebbe l’uso di li con Egitto e di una preposizione come c
Siamo dunque di fronte a un caso molto interessante di sviluppo del dativo a partire da una funzione “finale” e che potrebbe rappresentare un punto obbligato dei percorsi di apprendimento oltre che la manifestazione di una strategia di massima trasparenza. È però necessario approfondire le considerazioni fatte qui con l’osservazione di altri apprendenti.
Questo punto potrebbe anche essere molto importante per la valutazione e l’interpretazione dei processi di cambiamento linguistico. Fermo restando che tutta la questione merita un approfondimento che tenga conto di più lingue diverse, non si può fare a meno di rilevare che, diacronicamente, nel passaggio da una morfologia sintetica a una analitica, in molte lingue il dativo è stato ricodificato tramite preposizioni spaziali, cfr. it. e romanzo in generale a (dal lat. ad), gr. mod. σ(ε) (dal class. εἰς), ingl. to, neerl. aan, sved. (e nordico) till. Anche il tedesco conosce costruzioni alternative al dativo con le preposizioni spaziali zu (p. es. col verbo sagen “dire”) e an (p. es. col verbo schreiben “scrivere”). Al contrario, nell’afrikaans, che è il risultato di processi di creolizzazione del neerlandese, troviamo per il dativo la preposizione vir (neerl. voor “per”), che attualmente viene generalizzata a marcare accusativi umani allo stesso modo di a in alcune delle lingue romanze (Raidt 1983:182 sgg.)4. Anche i creoli a base inglese e francese mostrano un uso esteso delle preposizioni per “per”, cioè fo(r)
1.3.8 Di
Di appare fin dai primi stadi con il significato di generica specificazione e di possesso che ha nella lingua di arrivo. Talvolta viene sovraestesa anche a casi in cui l’italiano esplicita con altre preposizioni la relazione tra i nominali, cfr.
In