Giuliano Bernini

Scritti scelti


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Roberta Grassi, Lorenzo Spreafico, Ada Valentini. Università degli studi di Bergamo

      1 Le preposizioni nell’italiano lingua seconda1

      1.1 Introduzione

      In questo contributo intendo presentare alcuni aspetti dello sviluppo dell’uso delle preposizioni nei processi di apprendimento spontaneo dell’italiano come lingua seconda. La discussione riguarderà solo il quadro generale dei percorsi di apprendimento delle preposizioni italiane, metterà cioè in luce solo i principali momenti dello sviluppo della grammatica delle preposizioni, nel tentativo di ipotizzare una sequenza di acquisizione da sottoporre a verifica e da precisare nei dettagli sulla base dell’analisi comparata di dati, soprattutto longitudinali, di altri apprendenti con lingue prime diverse1.

      La discussione è fondata su dati forniti da diversi soggetti: si tratta di un’apprendente germanofona di 48 anni, che indicheremo convenzionalmente con la sigla TE2; di sei apprendenti arabofoni, che indicheremo con le sigle AE1, AE2, AE3, AE4, AP, AL3; di un giovane apprendente eritreo di lingua tigrina, che indicheremo invece con TI4. Le registrazioni da cui sono tratti i dati per tutti i soggetti presi in esame sono costituiti da conversazioni libere con l’intervistatore (lo scrivente per gli arabi e TI, Flavia Drei per TE).

      1.2 Osservazioni contrastive

      Prima di affrontare il nostro tema, è necessario fare alcune considerazioni, ancorché di ordine molto generale, sulle preposizioni, con particolare riguardo, ovviamente, all’italiano e al confronto fra questo e le lingue dei nostri apprendenti, cioè tedesco, arabo colloquiale, tigrino.

      Anzitutto va osservato che le preposizioni hanno uno statuto intermedio tra il lessico e la grammatica1. Alcune di esse possiedono un significato concreto e sono prevalentemente monosemiche (tra/fra e tutte le locuzioni prepositive: dopo di, fino a, da parte di, in seguito a, etc.) oppure mostrano una lieve polisemia (p. es. con, comitativo e strumentale, e su, locativo-direttivo e argomento). Altre, invece, veicolano un significato più propriamente grammaticale, concorrendo ad esprimere le funzioni sintattiche che in altre lingue (p. es. il latino) sono espresse da casi: a, p. es., serve per codificare il dativo e, almeno nel parlato comune, l’accusativo di nomi umani dislocati, come in:

      A Carlo la cosa non lo (ACCUSATIVO) convince.

      L’intersezione di caratteristiche lessicali e grammaticali è di nuovo ben illustrata dalla stessa preposizione a, che oltre ad avere i significati “grammaticali” di dativo e, in certi casi, di accusativo, possiede anche il significato più “concreto” di stato in luogo e direzione, come in essere/andare all’università. L’intersezione di lessico e grammatica si può inoltre notare nel caso dei complementi circostanziali con verbi come mettere: questi complementi rappresentano una funzione sintattica obbligatoria prevista dalla valenza del verbo, che viene realizzata con una gamma definita di elementi lessicali, e precisamente, nel nostro esempio, con le preposizioni dotate del tratto [locativo-direttivo], come in:

      Carlo mette il libro nell’/sull’/sopra/sotto/dietro l’armadio.

      Inoltre le preposizioni con un significato più spiccatamente lessicale mostrano tendenzialmente poca polisemia (un argomento che tratteremo in specifico tra poco) e possono funzionare in certi casi anche da avverbi (p. es. su, sotto, dopo, etc.). D’altro canto l’uso delle preposizioni per esprimere funzioni sintattiche ne appanna il significato fino a renderle elementi puramente relazionali, come mostra la reggenza fissa di molti verbi e aggettivi, come contare su, convincere di, credere in, entusiasmarsi per, riuscire a; deciso a, soddisfatto di, etc. Le preposizioni di questo tipo, poi, oltre ad accompagnare sintagmi nominali, possono introdurre anche subordinate implicite e vanno così a confondersi con le congiunzioni, cfr.

      desideroso di successo / di vedere i bambini.

      Un’altra caratteristica delle preposizioni italiane è costituita da diffusi casi di polisemia, soprattutto per quelle preposizioni che veicolano più che altro significati grammaticali, come a, che abbiamo già avuto modo di discutere poco sopra. Un altro esempio notevole, a questo riguardo, è fornito da da, come mostrano gli esempi seguenti:

      Carlo viene da Roma (PROVENIENZA);

      Carlo viene da Irene (DIREZIONE);

      Carlo è stato battuto da Luigi (AGENTE).

      Notevoli sono anche i casi di sinonimia parziale, illustrati emblematicamente da a e in, che sono interscambiabili davanti a nomi indicanti luoghi chiusi pur senza totale identità di significato (p. es. al/nel cinema, a/in casa), mentre in altri casi il loro impiego è governato dal tipo di lessema (p. es. in montagna, in Sicilia, a Roma, a Cipro)2.

      Infine non si può dimenticare la parziale allomorfia che caratterizza l’agglutinazione di di e in con l’articolo (nel, del, etc.)3.

      Vediamo ora come le tre lingue prime degli apprendenti presi in esame rispondono all’organizzazione delle caratteristiche generali delle preposizioni italiane. In tedesco, come è ampiamente noto4, abbiamo accanto alle preposizioni un paio di posposizioni e di circumposizioni (p. es. den Fluß entlang “lungo il fiume”, um Gottes willen “per l’amor di dio”). Le preposizioni possono anche funzionare da avverbi/particelle (pre)verbali, come nell’esempio seguente:

      Kurt stieg aus dem Zug aus

      “Kurt scese dal treno”

      dove il primo aus introduce un SP e il secondo è una particella col significato di “fuori da” (cfr. aussteigen “scendere” vs. steigen “salire”). Non ci sono invece sovrapposizioni tra la categoria di preposizione e quella di congiunzione (forse con l’unica eccezione di um e statt che possono introdurre subordinate implicite).

      Dal punto di vista morfosintattico le preposizioni vengono usate insieme ai casi e codificano solo le funzioni circostanziali, mentre quelle fondamentali di soggetto e di oggetto diretto, indiretto e in parte obliquo sono appannaggio dei casi, cfr.

      Der Schüler (NOM) gibt dem Lehrer (DAT) den Bleistift (ACC)

      “Lo scolaro dà la matita al maestro”.

      Il complemento di specificazione può essere reso sia col genitivo che con la preposizione von, che regge il dativo, come in das Haus des Lehrers/von dem Lehrer “la casa dell’insegnante”. Per quanto riguarda infine il piano semantico, l’organizzazione dei significati, soprattutto di quelli spaziali, è caratterizzata dalla pertinenza della distinzione tra stato e direzione (p. es. in dem Haus (LOCATIVO) vs. in das Haus (DIRETTIVO) “nella casa”) e di quella tra “inclusione” (in) e “vicinanza” (bei, zu “presso”) e tra presenza e assenza di contatto (p. es. auf. vs. über, ambedue col significato di “su”).

      Le diverse varietà di arabo parlate in Egitto, in Palestina e in Libia5 mostrano, sempre per quanto riguarda le preposizioni, un quadro simile a quello dell’italiano. Infatti si sovrappongono in parte agli avverbi (p. es. egiz./pal. ʔ, lib. fōg “sopra, su”) e, in mancanza di un sistema di casi, codificano oggetti indiretti ed obliqui, oltre che, naturalmente, i circostanziali. Occorre però notare che certi verbi i cui corrispondenti italiani reggono un complemento di moto, in arabo sono transitivi, p. es. daxal “entrò”.

      Inoltre, almeno in arabo egiziano, con verbi di moto spesso la preposizione è facoltativa, cfr.

      La costruzione possessiva nominale ha, come in italiano, l’ordine testa-modificatore ed è indicata o dalla sola giustapposizione dei nominali o dall’inserzione, fra questi, di un cosiddetto “esponente di genitivo” che concorda in genere e in numero con la testa e che in egiz. è bitāc, in lib. imtāc, in palest. tabāc, p.