all'autorità. Le fazioni, pigliate le armi, spinsero necessariamente i proprii capi al potere assoluto: la nascente libertà degli Arabi perì tra le guerre civili, al par che quella di Roma e tant'altre; oppressa dall'esercito della fazione vincitrice, come lo sarebbe stata da quel della fazione vinta, se a lui fosse toccata la vittoria. Reso dunque il califato ereditario in casa Omeiade, il doge divenne czar. Una sola guarentigia restò, cioè che il califo non potea mutare le leggi, venendo quelle dal cielo, e non essendone permessa altra interpretazione che la dottrinale. Ma ognuno intende quanto debole e precario ritegno fosse la voce da' dotti ad un principe riconosciuto da loro medesimi, come conservator della fede e arbitro delle forze dello Stato. D'altronde la immobilità teocratica della legge nocque molto più che non giovasse ai Musulmani, perchè attraversò le riforme fondamentali divenute necessarie per la mutazione dei tempi e per la vastità del territorio; e fece che tante ribellioni, tanto sangue sparso, non portassero altro frutto che di tor via le persone dei governanti, senza correggere il dispotismo che li rendea sì tristi.
Venendo in ultimo a considerare il momento militare dei conquistatori, si vedran le tribù ordinate alla guerra ed esercitate fin da tempo immemorabile: avvezzi da fanciulli a maneggiare armi e cavalli, usi a condurre cameli, caricar bagaglio, mutare il campo, affrontare pericoli, ubbidire ai capi nelle mosse e zuffe, andare a torme, schiere, drappelli, secondo le suddivisioni della tribù; e i capi a computare sottilmente le distanze de' luoghi, riconoscere o indovinare il terreno, disegnare colpi di mano, agguati, ritirate, in vastissimi tratti di paese. Indi pratica di strategia nei condottieri, disciplina nei soldati: che, tra tanta ignoranza e licenza, appena si crederebbe. Indi le prime battaglie degli Arabi contro Persiani e Bizantini, sì superiori ad essi di numero, furono vinte meno per non curanza della morte e furia a menar le mani, che per la rapidità e precisione delle mosse; per le schiere compatte, spedite a rannodarsi o combattere spicciolate; pei complicati disegni di guerra mandati ad effetto con agevolezza; per l'arte, presto appresa, di afforzarsi ne' luoghi opportuni ed a tempo ricusare o presentar la battaglia. Il califo bandia la guerra sacra; nominava il capitano d'una impresa e l'investia del comando, com'era antichissima costumanza appo di loro, annodando un pennoncello in cima alla lancia del candidato. Dato il ritrovo all'oste, accorreanvi le tribù dei contorni, intere o in parte, con lor condottieri e capi inferiori fino a que' di dieci uomini e anche di cinque: gente usa a vedersi in volto, a conoscere il valore l'un dell'altro, a sostenere in ogni evento la riputazione di sua famiglia, parentela e tribù: e spesso portavan seco loro le donne, non consigliatrici a viltà; per l'amor delle quali o per l'onore, più fiate gli Arabi sconfitti tornarono alla battaglia e vinsero; o quelle difesero con le proprie mani gli alloggiamenti assaliti dal nemico. Avean cavalli e fanti; i fanti in cammino montavan talvolta su i cameli, talvolta v'andavan anco i cavalieri menando a guinzaglio lor destrieri e in altri incontri togliean essi in groppa i fanti. Armati della sottile, lunga e salda lancia arabica, spada, mazza, e altri d'archi e frecce; ma ancorchè destri al saettare poco assegnamento faceanvi: son colpi di sorte, diceva un famoso guerrier loro, sbagliano e imberciano.146 Copriansi di giachi di maglia e scudi. In giusta battaglia aspettavano per lo più la carica del nemico; sosteneanla con rara fermezza secondo il precetto del Corano e il romano concetto di Khâled-ibn-Walîd che solea scorrer le file esortandoli: “Ricordatevi, Musulmani, che lo star saldi è fortezza, l'affrettarsi debolezza, e che con la costanza va la vittoria.”147 Sia che dessero il primo assalto, sia che ripigliassero quello del nemico, piombavano come turbine coi loro infaticabili cavalli levando il grido di Akbar Allah (è massimo Iddio); sparpagliavansi dopo la carica, e d'un súbito rannodati faceano nuovo impeto sul nemico disordinato nello inseguirli, e sì lo rompeano e laceravano; avviluppavano e sterminavano i fuggenti. I Bizantini e i Persiani, gravi per le armadure e per la formalità degli ordini militari ai quali era mancata da lungo tempo l'anima e l'intendimento, mal resistettero a tal nuova tattica: i primi inoltre uomini senza patria, raunaticci di tante genti, tratti per forza alle armi, condotti da capitani cui scegliea caso o favore; i secondi accolti anche di varie nazioni e classi sociali diffidenti l'una dell'altra, anzi nemiche.
Dagli eserciti passando ai popoli di que' due imperii, li vedremo avviliti dal dispotismo, rifiniti dalle tasse e dalla rapacità degli officiali pubblici; scissi da assottigliamenti religiosi; i Persiani anco dalle contese sociali de' tempi di Mazdak, dalla paura dei ricchi e cupidigia dei poveri: e qual meraviglia se tra l'universale scontentamento paresse manco male la falce dei conquistatori, i quali ragguagliavano gli imi ai sommi, disarmavano la religione dello Stato, permetteano il culto cristiano sol che si pagasse un picciol tributo, o aprivan le braccia per accogliere i vinti nella loro famiglia, nella loro Chiesa e nella loro repubblica? Così le vecchie società cedeano il luogo alla giovane società dei vincitori. Così ridivenuti nazione, spinti da delirio religioso e da interessi mondani, allettati dal bottino, dalle pensioni, dalla fertilità delle terre, dai mille lucri che offrian le nuove province, i popoli arabi emigravano successivamente verso di quelle. E se non potean portare in lor colonie nè libertà, nè quiete; se negli ordini loro si nascondea l'antagonismo della legge coi costumi, del dispotismo con la nobiltà e con la democrazia; questa schiatta forte, piena d'alacrità e di speranze, operosa, industre, paziente, audace, trovandosi in condizioni geografiche favorevolissime e tirando altre schiatte alla sua lingua e religione, dava principio a un periodo novello nella storia dell'umanità.
CAPITOLO IV
Se pur la fama di cotesti avvenimenti arrivò in Sicilia prima che gli Arabi toccassero le spiagge del Mediterraneo, niuno al certo se ne dette pensiero. Lo potean credere solito insulto de' ladroni di là della Siria, de' Saraceni, come par che s'addimandassero in quelle parti alcune tribù dei deserti; il qual nome i Bizantini dieron poi a tutti gli Arabi e infine a tutti i Musulmani.148 Fors'erano noti in Sicilia, per cagion del commercio, il nome e i costumi degli Arabi, e un capriccio di fortuna avea mostrato nell'isola le fattezze di questo popolo balestrandovi un principe arabo, Mondsir quarto re di Hira; il quale ribellatosi da' Sassanidi agli imperatori di Costantinopoli, tradì i novelli signori, e, caduto nelle mani loro, verso l'anno cinquecento ottantadue, il clemente imperatore Maurizio non ne prese altra vendetta che di rilegarlo con la moglie e i figliuoli in una delle isolette adiacenti alla Sicilia.149 Ma più che le rivoluzioni d'un popolo sì oscuro e lontano, premeano ai Siciliani le guerre dei Longobardi in Italia; e più che le une e le altre la novella eresia dei Monoteliti, ossia sostenitori dell'unica volontà.
Disputavasi, sopra un punto di curiosità teologica sottilissimo e oziosissimo se altro ne fu mai: se le opere del Dio fatto uomo, movessero da due volontà, divina e umana, ovvero da una sola, che i Monoteliti, ragionando su l'equivoco d'una parola, chiamaron teandrica, cioè, divino-umana. Capacitossi dell'unica volontà l'imperatore Eraclio, nel riposo ch'ebbe tra due guerre, l'una vinta gloriosamente sopra i Persiani, e l'altra perduta assai vilmente contro gli Arabi. Non prima il cacciaron essi dalla Siria, che il vecchio imperatore, sperando impetrare l'aiuto del cielo con un atto d'intolleranza, comandava che tutti i sudditi suoi credessero nell'unica volontà di Gesù Cristo. Comandavalo, come i predecessori suoi avean fatto delle altre dottrine onde si compose il domma ortodosso, usando nella nuova religione l'autorità di sommo pontefice, che appartenne già agli imperatori pagani, che gli imperatori bizantini non abdicarono giammai, e ch'è passata con tanti altri ordini loro nell'impero di Russia. E la sede di Roma tentennò tra l'antica obbedienza e il dritto fondamentale della repubblica cristiana, il quale portava che la universalità dei Fedeli fosse giudice delle proprie credenze. Papa Onorio I tentò di sfuggire alla vana contesa, e rispose dubbio o forse assentì; ma i successori suoi non vollero o non poterono dissimulare. Promulgata da Eraclio (a. 639), l'ectesi, come chiamossi l'editto imperiale che pretendea decidere la controversia, e cominciata la resistenza dal vescovo di Gerusalemme, Roma non declinò il pericoloso onore di farsene capo. Indi Costante Secondo imperatore rincalzava con un altro editto superbamente chiamato il tipo (a. 648), e papa Martino nel Concilio di Laterano (a. 649), ove sedè la più parte de' vescovi d'Italia, solennemente condannò ectesi e tipo, e ogni altro scritto monotelita. Allora la disputa si mutò in fazione politica. Costante il quale era salito sul trono a undici anni (a. 641), e, come tanti altri tiranni in adolescenza, avea principiato con belle dimostrazioni di modestia civile, spiegò l'unghia del lione per far confessare