Amari Michele

Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I


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non vuol che si rigetti. In ultimo è indizio dell'impresa un nome topografico rimasto in Siria infino al duodecimo o al decimoterzo secolo, chiamandovisi Sicilia, o, secondo altri, Le Siciliane, una villa in campagna di Damasco; se pur non sono due luoghi diversi. Il nome è derivato al certo da donne siciliane portatevi in cattività e probabilmente da quelle che vennervi al tempo di Mo'âwia.165

      L'armamento musulmano mosse dall'estremo golfo orientale del Mediterraneo, forse da Tripoli di Siria, e certo egli è che non venisse dalle costiere d'Affrica donde i Musulmani s'eran ritratti tre anni innanzi. Però era mestieri allestire grosse navi e munirle a effetto di guerra; e ne parrà tanto più malagevole e arrisicata l'impresa di Sicilia, più assai che quella d'India del secento trentasei, nella quale gli Arabi aveano avuto in pronto legni e marinai della propria lor gente, usi a tal navigazione per loro commerci. Mo'âwia-ibn-abi-Sofiân, che già si facea strada all'impero, forse sperò con la guerra di Sicilia d'accrescere le province ed entrate del governo suo ed emulare il capitano d'Egitto Abd-Allah-ibn-Sa'd, che godea come lui la grazia del califo ed avea acquistato in Affrica tanta gloria alla religione, e ricchezza ai soldati. E forse, dall'esercito del rivale pervennero a Mo'âwia i ragguagli che spinserlo alla impresa siciliana. Affidolla a un prode che fu poi partigiano suo nelle guerre civili;166 rinomato non meno per pietà, poichè avea visto in volto il Profeta e ne serbava i detti;167 e testè segnalatosi sotto gli auspicii del capitan d'Egitto nella espedizione di Nubia, ove perdè un occhio per ferita.168 Ebbe nome costui Mo'âwia-ibn-Hodeig della tribù di Kinda169 e continuò per venti anni a combattere per la fede in Ponente, sì che tante sue geste furono confuse dai raccontatori,170 e quella di Sicilia, come meno avventurosa, restò oscura.

      Sbarcarono nell'isola i Musulmani con forze non pari al conquisto; occuparono qualche luogo su la costiera, e a lor costume mandarono gualdane a battere il paese, le quali fean preda e prigioni, e pur non bastavano ad espugnar le terre murate. Ma tale debolezza del nemico non si potea scernere dai Cristiani tra i primi spaventi di quell'assalto, non aspettato nè creduto possibile; di quel terribil nome di Saraceni; di quelle nuove fogge, sembianti, linguaggio e impeto di combattere. Però, giunti gli avvisi a Roma, si strinsero l'esarco e il papa, com'abbiam detto. Passato Olimpio con l'esercito in Sicilia, la guerra andò in lungo: combattuta debolmente d'ambo le parti; dei Musulmani perch'eran pochi e scarsi di preparamenti; de' Cristiani perchè valean meno in arme, e travagliavali una moría che s'appigliò all'esercito. Indi le pratiche mosse dall'esarco, alle quali accennano e la narrazione del falso Wâkidi e il processo di papa Martino; le quali negoziazioni dopo la morte d'Olimpio furon costrutte in caso di maestà a fin di avvilupparvi il papa. Questi dal canto suo mandava aiuti di danaro in Sicilia: limosina a qualche servo di Dio, scriveva egli poi scusandosi, e dissimulando forse sotto tal nome il riscatto degli inquilini del patrimonio caduti in man del nemico. In ogni modo, tra scaramucce e pratiche si consumarono parecchi mesi; nel qual tempo Olimpio morì della pestilenza. I Musulmani, non isperando rinforzi, poichè non avevano altra armata in sul mare, e aspettandosi addosso il navilio bizantino, o avendo avvisi che venisse, non si lasciaron chiudere nell'isola. Mo'âwia-ibn-Hodeig rimontò su le navi in fretta, senza però abbandonare nè il bottino nè i prigioni; e, fatto vela nottetempo, ebbe a ventura, dopo felice navigazione, di sporre i suoi sani e salvi su le costiere di Siria. Tutto lieto il significava a Othman il capitano della provincia, Mo'âwia-ibn-abi-Sofiân, che già assai temea della sorte dell'armata. Mandava altresì al califo la quinta della preda, e dividea il resto all'esercito. Par che i prigioni, la più parte donne, rimanessero a Damasco, e presto dimenticassero gli antichi lor signori, il paese, le famiglie, fors'anco la religione. Perocchè la cronaca bizantina aggiugne qui sbadatamente, che volentieri stanziassero a Damasco: nè più crudele biasimo che questo si potrebbe esprimere in parole, contro quei miseri schiavi non già, ma contro l'ordine civile e religioso che affliggea la Sicilia.171

      Appena allontanati dall'isola i Musulmani, Costante incalzò la persecuzione contro il papa, e fe' compiere da un nuovo esarco l'attentato ch'ei meditava. L'innocente e caritatevole Martino, vegliardo, infermo, venerando per animo forte e soavi costumi, fu preso a piè degli altari da una man di scherani (giugno 653); gittato in una barca; condotto giù pel Tevere e per la costiera infino a Messina; ove il tramutarono in altro legno; lo menarono qua e là per la riviera orientale di Calabria e per le isole dell'Arcipelago: tenuto in segreta su la nave e in terra; strapazzato, e, dopo lungo tempo, tratto innanzi i magistrati a Costantinopoli. Quivi incrudì lo strazio per le ingiuriose imputazioni, la insolenza dei giudici, la brutalità dei servidori, la profanazione del nome e forme della giustizia, la sentenza di morte pronunziata e sospesa; e sopratutto la presenza del tiranno, dinanzi al quale gli stracciarono in dosso gli abiti sacerdotali, lo condussero per la città, con un collare di ferro alla gola, preceduto dal carnefice che brandiva la mannaia. Alfine il tiranno commutò la sentenza in esilio perpetuo a Cherson, su le rive settentrionali del Mar Nero; ove Martino trasse pochi mesi di vita che gli avanzarono, torturato da' disagi e dimenticato dal clero di Roma. Molti furono anco gastigati come ricalcitranti al tipo; e, più barbaramente che niun altro, il dotto San Massimo, al quale apponeano oltre le opinioni teologiche, sì sfacciato era il governo imperiale, di aver dato ai Saraceni l'Egitto, la Pentapoli e l'Affrica.172

      E come rinforzato per trionfo in casa, Costante volle andar subito a gastigare gli Arabi, che fatti audaci in sul mare, armavano contro Costantinopoli stessa (655). Sorgeano all'áncora le navi o barche loro, dugento e poche più, su le costiere della Licia, presso il monte Fenicio in un luogo che i cronisti arabi chiamano “Le Colonne;” senza dubbio dagli avanzi di qualche monumento dell'arte greca. Quivi drizzò la prora Costante con sei o settecento, altri dice mille, navigli; certo con strabocchevole superiorità di numero, mole e munizione delle navi. Era questa la prima battaglia marittima che si presentasse ai Musulmani. Perciò stavano in forse anco i più valorosi: il supremo condottiero Abd-Allah-ibn-Sa'd, ch'era a terra con le genti, domandava tre fiate ai capitani minori che si farebbe; e tre fiate que' si guardavano in volto l'un l'altro senza rispondere: quando si levò un guerriero, e, in luogo di disputare, recitò le parole del Corano sopra la battaglia di Saul con Golia: “Oh quante volte picciol drappello ha sbaragliato grosse schiere, permettendolo Iddio: Iddio è con chi sta fermo.”173 Abd-Allah allora, risoluto a morire anzichè abbandonare l'armata al nemico, gridava: “Alle navi, in nome di Dio.” E alle navi corsero, seguíti da molte donne loro, che vollero partecipare al pericolo.

      Appiccata la zuffa con trar dardi e saette, gli Arabi si accôrsero dell'errore di combatter da nave a nave; e senz'aspettare una prima sconfitta che li ammaestrasse, vollero provarsi da uomo a uomo. Gittano gli uncini alle galee nemiche; salgono all'arrembaggio con le sciabole e i cangiar alla mano; e con molto sangue loro e grandissima strage de' nemici, vinsero la giornata. Costante, che s'era tratto addietro quando cominciarono a fischiare per l'aria le saette, diessi a fuggire quando si venne alle armi corte; e pure a mala pena campò. All'incontro la nobile e bella Bosaisa, moglie del capitan musulmano, avea visto sì da presso il combattimento che il marito le domandò: “Chi ti è parso il più valoroso?” “Quel dalla catena” ella rispose: un guerriero che nel fitto della mischia, vedendo la nave di Abd-Allah aggrappata e portata via da un galeone nemico, l'avea liberata spezzando la catena. Questo prode era A'lkama-ibn-Iezîd, che amò ardentemente Bosaisa; la domandò in isposa; si ritrasse dall'inchiesta quando seppe che Abd-Allah aspirava alla mano di lei; e venuto costui a morte pochi anni appresso la battaglia delle Colonne, ottenne alfine il premio di sì perseverante e generoso amore.174

      Tornato il fuggente imperatore a Costantinopoli, incrudelì per sospetti di stato; fe' uccidere il proprio fratello; continuò le persecuzioni contro i sostenitori delle due volontà; e alternando fierezza e viltà, com'è proprio de' tiranni, vezzeggiò i successori di papa Martino, e pensò di fuggire i luoghi e il popolo che gli ricordavano il parricidio. Indi si favoleggiò che uno spettro lo inseguisse porgendogli una tazza piena di sangue, e gli dicesse: “Bevi,