Amari Michele

Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I


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altri comprendea.

      Ma sendo più che mai deboli in Italia le armi imperiali, e stringendosi sempre più il misero popol di Roma intorno il suo vescovo ond'avea lucro e protezione, Costante non potè sforzare il papa; e, volendo almen punirlo, fu necessitato a tentare un colpo da masnadiere. Commesselo ad Olimpio, esarco di Ravenna, o vogliam dire luogotenente dell'impero nei dominii che rimaneangli in Italia; il quale, andato a posta a Roma, tramò lunga pezza di catturare e dicon anche ammazzare il papa, e fallì nell'uno e nell'altro misfatto. Secondo un pio cronista, il sicario mandato da Olimpio, mentre levava la mano per ferire, perdè il lume degli occhi; e, maggior prodigio, narrato il caso all'esarco, costui, pentito, svelò tutta la pratica al papa. Aggiugne il cronista che si rappacificassero incontanente, e che Olimpio, raccolte le genti che potea, sopracorresse in Sicilia a combattere i Saraceni.150 La corte di Costantinopoli dal suo canto accagionò Olimpio d'alto tradimento, e il papa di complicità con lui, di connivenza coi Saraceni, e fin d'averli aiutato di danari.151 Tra le fole del miracolo romano e le impudenti accuse del governo bizantino, il vero mi sembra che l'esarco, allettato dalla occasione che gli davano gli umori degli Italiani e le condizioni generali dell'impero, seguendo il fresco esempio del patrizio d'Affrica, abbia tentato di sciorsi anch'egli dall'obbedienza: a che papa Martino nè volea nè poteva far ostacolo.152 Donde Olimpio lasciava star la teologia e il papa; e questi si pigliava quella insperata tranquillità, senza lodare forse nè biasimare la ribellione dell'esarco, quando lo scoppio della folgore musulmana in Sicilia li fe' stringere l'uno all'altro, sì che provvedessero insieme al comun pericolo. Perchè Olimpio, usurpatore o no, dovea combattere i Musulmani in Sicilia, come Gregorio usurpatore avealo fatto in Affrica; e Martino, posposto ogni altro rispetto, dovea aiutarlo, per salvare l'Italia dalla servitù degl'Infedeli e sottrarre alle rapaci mani loro il patrimonio di San Pietro nell'isola.

      Nei dieci anni che la corte bizantina avea passato tra l'ectesi e il tipo, gli Arabi, oltre quei prodigiosi loro conquisti di là dal Tigri, s'erano impadroniti di mezzo l'impero: spintisi infino al Caucaso; occupata tutta la costiera di Siria; preso l'Egitto (a. 639); corsa e resa tributaria l'Affrica propria (a. 648); e, dopo avere soprastato un istante in riva al Mediterraneo, vi si erano ormai lanciati, e tutto l'empieano di spavento. Soprastettero già in riva al Mediterraneo, rattenuti dai comandi di Omar, non da ripugnanza a incontrare ignoti pericoli. Perocchè non mancavano arrisicati navigatori tra le popolazioni marittime d'Arabia; e gli stessi guerrieri del deserto, fin dai primi conquisti, s'erano risolutamente imbarcati sul Golfo Persico per assaltar le costiere d'India, donde eran tornati vincitori e carichi di preda (a. 636); i quali, se non ritentarono l'impresa, la cagione fu che Omar aspramente rampognò il capitano, e scrissegli che si guardasse un'altra fiata di affidare i guerrieri dell'islâm, come vermi, a un pezzo di legno galleggiante.153 In tal modo ei volle ovviare al pericolo d'allargar troppo la guerra, o a quel di combattere sopra un elemento ove i Cristiani fossero più pratichi de' Musulmani, ch'è il concetto d'Ibn-Khaldûn. Per simili rispetti vietò all'ambizioso Mo'âwia-ibn-abi-Sofiân d'assaltare l'isola di Cipro; se non che, per iscusarsi del mettere ostacolo ai trionfi dello islâm, il califo gravemente scrivea sapere che il Mediterraneo sovrastasse di gran tratto alla terra, e dì e notte domandasse a Dio di poterla inondare; ond'ei non amava a dar gli eserciti musulmani in balía a tal perfido mare.154 Ma non andò guari che in luogo di queste baie tendenti a sconfortare dalle imprese navali, si trovò nelle tradizioni di Maometto, com'avvien sempre nelle ambagi e disordine degli scritti religiosi, un corredo compiuto di altri testi che portavano all'effetto contrario: e diceano che a durar solo la nausea del mare nella guerra sacra fosse merito uguale al morire in campo, bagnato nel proprio sangue; che l'Angelo della Morte recasse su in cielo le anime degli altri martiri, ma Dio medesimo raccogliesse quelle degli uccisi in combattimento navale; e altre somiglianti tratte su i tesori della vita futura.155

      Ucciso Omar (a. 644), e uniti a capo di due anni i varii governi delle provincie di Siria156 nelle mani di Mo'âwia, costui, che avea tanto séguito appo il nuovo califo, agevolmente vinse il partito della guerra navale, non ostante la opposizione di quei consiglieri che voleano mantenere i disegni politici di Omar.157 Fatto venire grande numero di barche d'Alessandria e accozzatole con quelle della costiera di Siria, Mo'âwia assaliva (648) Cipro; ne levava tributo; tentava la munita isoletta di Arado; e, sendone respinto, vi tornava l'anno appresso con maggiori preparamenti; sforzava gli abitatori ad arrendersi e bruciava il paese. Dopo due anni i Musulmani di Siria presero l'isola di Rodi; portaron via, fatta a pezzi, la statua colossale d'Apollo che l'antichità avea tenuto tra le maraviglie del mondo.158 E alla nuova stagione, che fu del secentocinquantadue, quattro anni appunto dopo la prima lor prova a metter piè sopra una barca nel Mediterraneo, solcavanlo a golfo lanciato, volgendo le prore alla Sicilia.

      Di questa, come di tante altre imprese dei primi conquistatori arabi nelle provincie romane, troviamo notizie molto oscure negli annali loro, per una cagione che occorre spiegare. Presso gli altri popoli civili che si segnalarono nel mondo, la tradizione dei fatti, emersa una volta dalle nebbie dei tempi mitici, ha preso successivamente tre forme, che rispondono a tre diversi gradi dell'incivilimento, e sono: i canti eroici ripetuti a mente, le cronache scritte e la storia propriamente detta; nè la tradizione orale in prosa è stata altro che ausiliare, pronta, come ognun sa, a correggere o guastare gli altri ricordi. Appo gli Arabi, al contrario, la tradizione orale usurpò tutto il campo nei primi due secoli dell'egira. La nazione, sendo più incivilita nell'animo che nelle forme esteriori, non potea contentarsi oramai di racconti poetici, ma non era per anco avvezza a ricordi scritti; e l'umile arte di leggere e scrivere troppo scarseggiava tra que' guerrieri e improvvisatori che stavan sempre a cavallo e in su le armi. Pertanto non ebbero altri cronisti che i rawî, (raccontatori o direbbesi più litteralmente ritenitori), ai quali l'uso dava una prodigiosa virtù di memoria, e serbavano l'intero patrimonio letterario di lor gente: poesie, genealogie e fino i detti del profeta. Costoro, raccolti i fatti il meglio che poteano dalla bocca di questo e di quello, soleano riferirli con tutte le varianti e coi nomi di quanti successivamente li avessero tramandato. Ma tal diligenza accrebbe la mole e la confusione, più tosto che correggere i vizii della tradizione orale: il difetto cioè di precisione cronologica; lo scambio dei fatti diversi relativi a una stessa persona; la mescolanza delle fole di millantatori e detrattori; il pendío agli aneddoti maravigliosi; il silenzio su le imprese infelici. Questo cumulo di materiali par che opprimesse i primi che si provarono a scrivere, nel terzo secolo dell'egira e nono dell'era cristiana. Dei quali altri dettò storie particolari, altri osò intraprendere una cronica universale; ma nessuno seppe strigarsi dalla noiosa forma della tradizione orale, e nessuno venne a capo di chiarir bene tutti gli avvenimenti del primo secolo, ch'era più lontano da quella età. In ultimo comparvero le compilazioni e i compendii, che fecero andare in disuso quelle ponderose cronache primitive; sì che, poco o punto copiate dal duodecimo secolo in qua, non ce ne avanza che qualche volume. E per tal modo è divenuto ormai impossibile di ristorare la tradizione di alcuni avvenimenti; e i nostri sforzi non arriveranno a trovarne altro che qualche cenno.

      Ma quell'assalto di Sicilia, di cui testè dicevamo, è reso certo dai ricordi europei, cioè: i documenti contemporanei che leggonsi nel processo di papa Martino;159 un paragrafo della Cronografia di Teofane,160 scrittore dell'ottavo secolo; e uno ch'è tratto manifestamente dalle memorie della Chiesa Romana e portato nelle vite dei pontefici che van sotto il nome d'Anastasio Bibliotecario.161 Corretta la cronologia, il fatto compiutamente risponde alla tradizione musulmana che si raccoglie a brani dal Beladori, autore del nono secolo,162 e da due compilazioni più recenti;163 delle quali una assai particolareggiata si trova in un esemplare del falso Wâkidi; ma non ostante tal sospetta origine,164 quando se ne tolgano le manifeste finzioni