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Exil und Heimatferne in der Literatur des Humanismus von Petrarca bis zum Anfang des 16. Jahrhunderts


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di false accuse (si tratta essenzialmente del motivo noto dalla biblica vicenda della moglie di Putifarre); nella seconda (Dec. II, 9), a fuggire, sempre per via di false accuse connesse alla sfera erotica, è la virtuosa moglie del mercante Bernabò da Genova. Anch’essi superano la prova di carattere, e benché in entrambe le novelle sia in definitiva la Fortuna a decidere del lieto fine «oltre alle speranze» dei protagonisti,26 per i narratori e per il lettore ciò non è altro che una giusta ricompensa per la loro integrità morale. Né molto diverso sembra il caso di Tedaldo degli Elisei (Dec. III, 7) che, respinto dall’amata, dopo varî e vani tentativi per riacquistarne l’amore perduto,

      a doversi dileguar del mondo, per non far lieta colei che del suo mal era cagione di vederlo consumare, si dispose. E, presi quegli denari che aver potè, segretamente, senza far motto ad amico o a parente, fuor che ad un suo compagno il quale ogni cosa sapea, andò via […].27

      Non tutti protagonisti decameroniani sono tuttavia in grado di superare la prova. Cosí, la fuga di tre coppie d’innamorati in cerca della libertà necessaria a vivere le loro passioni (Dec. IV, 3) finisce in una sanguinosa tragedia. Ciò non cambia, tuttavia, la prospettiva generale: l’esser lontano da casa propria è piuttosto un’occasione da sfruttare, che di solito si rivela utile; e si vedano persino casi cosí «radicali» quali il rapimento della moglie di messer Ricciardo da Chinzica (Dec. II, 10), che trova nel rapitore che se la porta via un uomo preferibile al vecchio marito, e nel rapimento l’occasione di liberarsi di lui.

      L’impostazione che il Boccaccio ci propone merita evidentemente il confronto con quella lunga tradizione testuale, e con l’immaginario a essa connesso, in cui l’allontanamento dalla casa e soprattutto il viaggio o la peregrinazione rappresentano metaforicamente un’acquisizione d’esperienza vitale per la statura spirituale del protagonista: a partire da racconti mitologici e biblici, attraverso le fiabe e la poesia epica, fino a Dante, ammirato maestro del Certaldese. Come sempre accade per le strategie narrative minuziosamente elaborate e poi precisamente messe in opera dal Boccaccio, il loro senso andrebbe ricercato in un sottile gioco di analogie e innovazioni, di continuazione e rottura, di consenso e contraddizione. Si tratta, tuttavia, di un confronto che esula dai limiti del breve saggio presente.

      Il grandioso tessuto narrativo del Decameron diventa presto, com’è noto, una sorta di «tela aida» sulla quale dei cosiddetti epigoni s’applicheranno a sovrapporre i loro «ricami», non sempre di grande eccellenza. La distanza che separa le loro narrazioni dalla raccolta boccacciana non sembra tuttavia esser sempre l’effetto di un’inconsapevole mediocrità, e potrebbe ben risultare sia da una loro particolare – e assai diversa dalle nostre – interpretazione delle novelle, sia da un calcolato tentativo di piegare il modello ai loro intenti, diversi da quelli del pur ammirato autore. In tale chiave si possono leggere anche i riferimenti al motivo che ci interessa in questa sede. Vediamone due esempî significativi.

      Giovanni Sercambi di Lucca sembra adottare nella cornice della propria raccolta di novelle uno schema in superficie analogo a quello del Decameron: un gruppo di persone s’allontana dalla città natale per evitare la moría, proponendosi tuttavia sin dall’inizio di tornare quando i brutti tempi siano passati:

      […] pensonno con un bello exercizio passare tempo tanto l’arie di Lucca fusse purificata e di pestilenzia netta; e raunati insieme, li ditti diliberonno di Lucca partirsi e per la Italia fare i loro camino con ordine bello e con onesti e santi modi.28

      Il motivo narrativo suggerito dal Boccaccio viene tuttavia sfruttato per veicolare contenuti assai diversi, in quanto l’esilio volontario dei lucchesi assume due aspetti originali: politico e religioso. Analogamente a quanto avveniva nella cornice del Decameron, si tratta di una scelta superficialmente volontaria ma, in realtà, imposta dall’incombente pericolo di morte. Tuttavia, mentre nella raccolta boccacciana si trattava di un’iniziativa privata che riguardava un esiguo gruppo d’amici e di parenti, desiderosi di seguire l’esempio d’altri, simili e piú o meno anonimi gruppi, nella cornice sercambiana si tratta d’una scelta civica. La posta in gioco non è solo la propria vita ma il destino dell’intera comunità, e la morte incombente non è soltanto quella materiale, ma altresí quella spirituale. Anzi, la questione della morte fisica e la problematica materiale della peste sembrano presto respinti in secondo piano da considerazioni di carattere spirituale e moralizzante. Lo preannunciano già le parole con cui il Sercambi dà inizio al proprio racconto:

      È la natura umana creata e fatta da Lui a Sua somiglianza acciò che tale umana natura la celestiale corte debbia possedere, se di peccati non è ripieno; e quando per follia dessa dal celestie paradiso è privata non se ne dè dare colpa se non ad essa umana natura, e simile se E’ li dàe diversitadi per li nostri peccati comissi […].29

      L’epidemia di peste non è altro, infatti, che una severa e collettiva punizione dei peccati mandata da Dio; per sottrarsi al pericolo d’annientamento, la comunità deve rompere con il passato e rinascere dando prova di corretta condotta morale:

      neuna medicina può riparare, né ricchezza stato né e altro argomento che prender si possa sia sofficiente a schifar la morte altro che solo il bene, ch’è quello che da tutte pestilenzie scampa; e quella è la medicina che salva l’anima e ‘l corpo.30

      Per questo, appunto,

      alquanti omini e donne, frati e preti et altre della città di Lucca […] diliberonno, se piacer di Dio fusse, […] prima accostarsi con Dio per bene adoperare e da tutti i vizii astenersi; e questo faccendo la pestilenzia e li altri mali che ora e per l’avenire si spettano, Idio per sua pietà da noi cesserà.31

      Nell’allontanarsi dalla città contagiata, i protagonisti sercambiani non soltanto vogliono fuggire un luogo nefasto, ma anche intendono avvicinarsi all’agognata meta spirituale seguendo l’insegnamento del loro nuovo leader:

      poiché diliberati siemo per campare la vita e fuggire la peste, debiamo eziandio pensare di fuggire la morte dell’anima, la quale è piú d’averne cura che lo corpo. E acciò che l’uno e l’altro pericolo si fugga, è di necessità pigliare la via di Dio e’ suoi comandamenti e, con quelli savi modi che si denno, guidare le nostre persone.32

      Da una parte, lo star lontano dalla patria coincide con il compimento d’un lungo viaggio di carattere penitenziale, con un’importante tappa romana dedicata soprattutto a pratiche devozionali. Dall’altra, quell’esperienza serve a mettere a punto la nuova organizzazione sociale e politica dei lucchesi. Infatti, per poter mantenere il giusto rigore morale, essi s’organizzano in una società di tipo signorile: dopo aver scelto un preposto, tutti gli giurano ubbidienza, gli affidano la gestione delle finanze comuni e la scelta dell’itinerario. È lui che comanda per l’intera durata della permanenza fuori Lucca, è lui che nomina i responsabili dell’organizzazione del viaggio, è lui che stabilisce il ritmo delle giornate. Non si tratta, di contro al Decameron, semplicemente d’assegnare i compiti alla servitú, bensí di nominare veri e proprî funzionarî del nuovo potere signorile. Del raffinato clima d’uguaglianza e di reciproco rispetto che regnava nel Decameron non rimane alcuna traccia. In tale contesto cambia anche la funzione attribuita all’atto del narrare: esso non deve servire ad altro che all’indottrinamento degli ascoltatori e tale delicata missione viene affidata esplicitamente e personalmente a un fedele e autorevole portavoce del preposto. L’unico narratore è poi facilmente identificabile, grazie all’acrostico che si trova in un «piacevole sonetto» iniziale, nello stesso Sercambi, noto tra i suoi concittadini come storico e cronachista.33 La brigata sercambiana non dialoga, ma ascolta e impara, limitandosi a lodare gli insegnamenti morali, condannare i vizî e concedersi a volte qualche risata. La voce del narratore unico, e autore della relazione del viaggio,34 è accompagnata esclusivamente da canzoni e poesie moralizzanti; se ci sono tracce di polemiche e divergenze d’opinione, esse sono e rimangono velate e allusive.35 Le analogie tra simile raffigurazione fortemente ideologica – e idealizzata, poiché il nuovo assetto sociale e politico implicitamente s’identifica, nella narrazione sercambiana, con la volontà di Dio – e il reale impegno politico dell’autore sembrano confermare quest’interpretazione.36 Siccome l’unico manoscritto pervenutoci dell’opera è mutilo e tronco, nulla sappiamo del ritorno in