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Exil und Heimatferne in der Literatur des Humanismus von Petrarca bis zum Anfang des 16. Jahrhunderts


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pare che la sestina Rvf 80 costituisca un caso esemplare di molte delle tendenze di fondo fin qui reperite. A cominciare dalla propensione cosí tipicamente petrarchesca a lasciare le rive in cui è appena approdato per cercare nuovi orizzonti, spostare, respingere i limiti per riprendere la navigazione allo scopo d’esplorare nuovi paesaggi mentali ed espressivi. Vediamo nel caso presente come il Petrarca si allontani dalla tradizione o, per meglio dire, da quello ch’è solo un abbozzo di tradizione, tale tuttavia per opera e merito suo, essendosi egli cimentato con il genere-sestina a tre riprese soltanto prima di quella che intendiamo ora prendere in esame,89 in gara con due unici predecessori, autori d’un solo componimento ciascuno: il grande Arnaldo e la figura edipica di Dante. Arnaldo cui sembra alluda il capoverso (Chi è fermato di menar sua vita, da mettere a confronto con Lo ferm voler qu’el cor m’intra); Dante onnipresente in particolare nell’asperitas (alquanto temperata, a dire il vero) cui è improntato il componimento, ma anche per il significato della navigazione (che è anche riconducibile al tipo ulisseo) qui evocata.90

      È, per l’appunto, il testo che rompe sul piano tematico con la mini-tradizione della sestina (che dice l’irretimento nei lacci dell’amore disperato, labirinto senza uscita formalmente tradotto, quasi visualizzato attraverso la retrogradatio cruciata), introducendo nei Rerum vulgarium fragmenta il motivo dell’esilio come cifra assoluta della condizione umana (quarta occorrenza del lessema dopo 21 [10], 37 [37], 45 [7], ma prima con tale significato).91 Si tratta ora di dire l’inquietudine insanabile dell’esilio-peregrinatio, dell’errare che ci fa passare da punti sempre uguali, sempre diversi,92 senz’altro esito che quello dell’invocazione finale d’un aiuto esterno (divino). Testo dunque che in maniera particolarmente netta segna una svolta, se non una rottura, inaugurando a poca distanza dalla canzone 70 detta degli incipit (o meglio dei versi cum auctoritate, la sua propria, del Petrarca – auctoritas – compresa) un nuovo corso nell’andamento della raccolta, che vale congedo dato alle auctoritates in gioco. Riprendendo, qui anche nella strutturazione giudiziaria del discorso, la tonalità giudicante che informa i fragmenta fin dal primo di essi.

      Qualche altra rapida considerazione ancora. Se guardiamo ai verbi, in particolare ai loro aspetti, ci accorgiamo che le frontiere esterne del testo (delimitate dalla protasi, al presente di verità universale, seguito dall’ottativo, un ottativo che diventa la preghiera scettica dell’ultima stanza: in un presente dell’enunciazione che dice l’insanabile smarrimento; preghiera vera e propria nel congedo) iscrivono il suo tempo entro l’inizio – nel passato – della navigatio-exilio e il futuro dell’approdo finale. Costatiamo che i verbi «perfettivi» coniugati ai tempi «incompiuti» (semplici) sono resi «compiuti» dal «poi» dei vv. 4 delle strofe 2 e 3; dopodiché, con un «poi» al v. 28 che cambia completamente segno, il regime delle stanze 3 e 5 è quello dell’incompiuto che si protrae nell’attrettanto «incompiuto» (i.e. tuttora in corso) del presente dell’enunciazione. E per quanto riguarda gli «imperfettivi», l’unico della serie che non rinvii (se non metaforicamente) alla soggettività, agli stati interiori (vedere, credere, sperare, temere, e anche sospirare e ardere), è il concreto «errare» del v. 14 (messo in straordinario rilievo dal rigetto),93 che, nonostante un primo intervento divino che lo allontana dagli scogli, continua come auspicato viaggio verso il porto ultimo, sigillo di un «exilio» che trascende tutto il tempo della storia individuale narrata.

      Per la lingua, ora, un paio di riflessioni rapidissime. Oltre alla presenza di Guittone,94 si ravvede (ovviamente, vien fatto di dire) quella di Dante.95 In quanto al piano prettamente linguistico (fonetico, morfologico, sintattico), lasciamo agli specialisti il compito di determinare quanto il nostro pezzo, a prima vista levigatissimo, si discosti o meno dalle caratteristiche medie del sostrato primigenio.96 Sul piano semantico (lessemi portanti delle parole-rima in particolare), il ritorno del medesimo potenzia il gioco della variatio, cifra della peregrinatio attaverso i varî significati di ognuno dei significanti.97 Anche il sistema allitterativo, particolarmente denso, va incluso nel campo della riflessione.98

      Nuova partenza, che non significa però riorientamento definitivo, decisione di non guardarsi mai piú indietro – la serie che segue (dopo 81, piú penitenziale ancora) basta a testimoniarlo.99 E, per tornare un attimo a Rvf 70, non è perché vi siano tutti gli estremi del bilancio-congedo che non si canterà piú, né che ci sarà piú soavità o dolcezza, combinata con l’asperità mai dimessa. Il superamento dei punti di passaggio cui si sono voltate le spalle, e quindi le nuove partenze – quelle da se stesso comprese100 – non sono oblío totale: senza parlare delle tracce protratte di cavalcantiana sofferenza (o di dolenti reminiscenze),101 già le cantilene oculorum (71–73) prolungano in qualche modo il «bel guardo soave» ciniano (Rvf 70, 40); e pensiamo pure ai ritorni continui, fino alla fine della raccolta, al «dolce tempo de la prima etade» (limite estremo di tali ritorni: la fronte del sonetto 352,102 e le ultime tentazioni mnesiche della canz. 359).

      Manca lo spazio per considerazioni dettagliate sulla sestina doppia (Rvf 332). Ma un’analisi puntuale metterebbe senz’altro in evidenza la straordinaria attitudine petrarchesca a frattalizzare l’esilio-peregrinatio in svariati modi lungo tutto il Canzoniere, specie nei punti nodali, strategici.103

      Ecco, a una valutazione fattasi via via piú microscopica, alcuni (alcuni soltanto) aspetti, credo significativi, del vivere petrarchesco esule in lingua. Questa prima ricognizione sembra avvalorare l’ipotesi di un Petrarca che vive nella lingua, che vive la lingua inventandola giorno dopo giorno, da peregrinus; una lingua fattasi nel Canzoniere destino tendenzialmente infelice, specie – ma non solo – dopo la morte di Laura.104 Un pellegrino piú ubique di quanto egli lasci intendere spesso e volentieri, ché bisogna sempre tener conto anche di ciò che dissimula / dissimila: le contrade che vorrebbe farci credere di non aver mai perlustrato, i paesi che dimentica accuratamente di confessare essere stati da lui visitati, ma che lasciano impronte talvolta indelebili.105 Che dire allora per concludere? Che questa prima, molto imperfetta ricognizione invita a nuovi sondaggi, su scala allargata, scavando sistematicamente altri strati. Chiama nuove partenze, condotte con metodo piú sicuro, ma anche con spirito aperto a sorprese, a scoperte di paesaggi insospettati. Per capire meglio come questo scrittore apolide (che avverte l’esilio come una condizione, anzi se ne fregia), non sia senza una terra d’elezione: l’Italia sognata della renovatio e, soprattutto, la lingua che va inventando, man mano che percorre e ripercorre tutte le terre dove ha deciso (o meno) di passare e ripassare per soddisfare la sua inarrestabile e selettiva (ma non esattamente come si credeva) curiosità, sperimentando soluzioni che sono anche – e anzitutto – esperienze di vita. Che lasciano tracce, vestigia improntate anche a nostalgia. La «sapientia» (in fatto di scrittura) essendo figlia della pratica («usus») e della memoria, come insegna Agostino, che «ha definito l’arte come la memoria delle cose sperimentate e che sono piaciute».106

      Bibliografia

      Afribo, Andrea: Petrarca e petrarchismo: Capitoli di lingua, stile e metrica, Roma 2009.

      Agamben, Giorgio: Nymphæ, in: Image et mémoire: Écrits sur l’image, la danse et le cinéma, Traduit par M. Dell’Omodarme, S. Doppelt, D. Loayza et G. A. Tiberghien, Paris 2004, 37–69.

      Antognini, Roberta: Il progetto autobiografico delle Familiares di Petrarca, Milano 2008.

      Ariani, Marco: Petrarca, Roma 1999.

      Blanc, Pierre: Le discours de l’intellectuel comme parole d’exilé: Psycho-poétique de l’exil chez Dante et chez Pétrarque, in: Jacques Heers / Christian Bec (edd.): Exil et civilisation en Italie (XIIe–XVIe siècles), Nancy 1990, 49–59.

      Cachey, Theodor: Il lettore in viaggio con Francesco Petrarca, in: Luca Marcozzi (ed.): Petrarca lettore: Pratiche e rappresentazioni della lettura nelle opere dell’umanista, Firenze 2016, 143–155.

      Carrai, Stefano: Il mito di Ulisse nelle Familiari, in: Claudia Berra (ed.): Motivi e forme delle Familiari di Francesco Petrarca, Milano 2003, 167–173.

      Coletti, Vittorio: Storia dell’italiano letterario: Dalle origini al Novecento, Torino