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Exil und Heimatferne in der Literatur des Humanismus von Petrarca bis zum Anfang des 16. Jahrhunderts


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Bachtin e di Jurij Lotman, propone talune distinzioni elementari che sembrano, ai nostri fini, poter costituire un buon punto di partenza.3 Anche se possono apparire ovvie o addirittura banali, esse permetteranno di tracciare una specie di mapping e di collocare le situazioni concrete riscontrate nelle cornici nell’ambito di un vasto spettro di possibilità virtuali. In primissimo luogo, «allontanarsi» significa dunque abbandonare lo spazio chiuso e familiare rappresentato dalla propria casa per affrontare una realtà piú o meno sconosciuta. Può trattarsi di una decisione libera oppure di una costrizione di vario tipo, mentre la destinazione può essere deliberata, casuale o forzata. Fuori dell’ambiente domestico ci si può limitare a essere osservatori passivi, ma si può anche diventare, volontariamente o meno, protagonisti di vicende eccezionali. Le opposizioni casa vs. mondo, immobilità vs. movimento, stabilità vs. rischio, abituale vs. nuovo, proprio vs. forestiero, etc., si possono associare a valutazioni diverse e contrarie, ognuno dei poli assumendo, a seconda dei casi, un valore positivo o negativo, anche alla luce di pregiudizî e stereotipi di carattere ideologico. Si aggiunga infine che chi abbandona la propria casa può esser percepito come individuo che séguita ad appartenere alla propria collettività, ma altresí come un forestiero. Anche al ritorno a casa, del resto tutt’altro che scontato, si possono attribuire segni diversi: esso può equivalere negativamente a una sconfitta, a una rinuncia o alla ricerca d’un rifugio, ma nella tradizione letteraria il ritorno è di norma connotato piuttosto positivamente, essendo un indiscusso happy end vissuto senza riserve. Esso coincide con il superamento degli ostacoli, con la vittoria sull’avversario (che aveva messo a repentaglio la pace domestica preesistente), con il ritorno all’equilibrio. Il ritorno a casa può tuttavia funzionare come un happy end soltanto nelle società che godono d’una certa stabilità, in cui si avverte univocamente e positivamente la consapevolezza d’avere nel mondo un posto proprio e stabile, e un forte legame con la collettività, con la casata e con la famiglia. L’allontanamento è, indipendentemente dalle motivazioni, un’esperienza chiusa ed eccezionale, non una regola.

      In questo vasto e generico panorama l’esilio nel senso più specifico, benché storicamente impossibile da quantificare come fenomeno sociale, assume tuttavia un significato del tutto particolare, non foss’altro perché toccò in sorte a personaggi illustri e di primo piano. La condizione di esule segnò infatti profondamente l’esistenza o l’esperienza di grandi figure della storia e trovò espressione in opere di grande valore e lunga durata. In una prima e ristretta accezione, l’esilio significherebbe inizialmente l’allontanamento forzato d’un cittadino dalla patria, una forma di punizione o repressione, dunque, ma il campo semantico del termine è andato notevolmente estendendosi, certo sotto le pressioni delle svariate situazioni reali. Esso può riferirsi ugualmente a un allontanamento apparentemente volontario, ma in realtà imposto dalla logica dei fatti principalmente per evitare violenze o persecuzioni, le negative conseguenze d’una determinata situazione politica o sociale, ma anche per fuggire problemi fiscali o legali. L’esilio può riguardare singoli individui o intere etnie, può esser interno o interiore, senza uno spostamento fisico e limitato alla sfera psicologica, oppure esterno. Talvolta la differenza tra esilio ed emigrazione non sembra affatto scontata. Per evitare definizioni restrittive, nelle nostre considerazioni potremmo definire l’esilio in modo assai generico, come quello spostamento da un primo luogo «abituale» a un secondo luogo diverso ed estraneo in cui il desiderio d’abbandonare l’uno prevale decisamente sul desiderio di raggiungere l’altro.

      *

      Nella novellistica italiana i motivi connessi a quel complesso insieme d’idee o di concetti emergono fin dall’inizio.4 Nell’esaminarne le varianti piú significative ci sembra d’uopo ricorrere a un breve questionario, in cui proponiamo di prendere in considerazione i seguenti criterî:

      1 esilio volontario / esilio involontario (forzato)

      2 motivazione

      3 luogo di partenza (caratteristica dominante)

      4 luogo d’esilio (caratteristica dominante)

      5 tipo di contrasto (peggioramento / miglioramento delle condizioni di vita)

      6 ritorno / non ritorno

      7 esperienza positiva / esperienza negativa.

      Di là da ogni dubbio giustificato o persino (in questo genere di confronti) obbligatorio, il nostro principale punto di riferimento sarà ovviamente fornito dalla cornice del Decameron. In questa sede sarebbe superfluo il ricordarne dettagliatamente la trama. Si tratta del volontario e ben ponderato allontanamento dalla propria città – o patria – d’un gruppo di parenti, vicini e amici le cui motivazioni vengono esplicitate in un articolato discorso dell’«ideatrice» dell’impresa: Pampinea. La sua lunga giustificazione dimostra che si tratta d’una decisione tutt’altro che scontata. È un allontanamento privo di qualsiasi riferimento di carattere politico – la politica è in generale poco presente sulle pagine del Decameron – e di qualsiasi forzatura umana, ma volontario, in realtà, soltanto «in superficie», in quanto a uno sguardo piú attento si rivela condizionato e operato sotto l’ineluttabile costrizione del destino, dato che la vita dei protagonisti si trova in costante pericolo, minacciata com’è dalla peste che infuria in città e dal degrado sociale che vi s’accompagna. Richiamandosi, dunque, sia alla «natural ragione» che alle leggi e all’esempio altrui, i protagonisti affermano il loro diritto di difendere la propria incolumità e – visto che rimanere sul posto si ridurrebbe a un inutile e assurdo «essere testimonie di quanti corpi morti ci sieno alla sepoltura recati […] o ascoltare se i frati di qua entro […] alle debite ore cantino i loro uffici»5 – decidono che la miglior loro difesa consiste nel partire. Allontanarsi sarà inoltre utile dal punto di vista morale, in quanto nella città devastata regnano la dissolutezza e la corruzione; la morte corporale vi s’accompagna alla morte spirituale, ugualmente minacciosa. E anche questo contribuisce a creare quel clima d’insopportabile oppressione in cui l’autoesilio risulta essere l’unica degna soluzione. Pampinea non manca di notare, del resto, come anche sotto tale aspetto la realtà fiorentina sia del tutto contraria alla normalità:

      veggiamo coloro i quali per li loro difetti l’autorità delle pubbliche leggi già condannò ad essilio, quasi quelle schernendo, per ciò che sentono gli essecutori di quelle o morti o malati, con dispiacevoli impeti per la terra discorrere […].6

      Se in città trovano rifugio quelli che ne son stati giustamente esiliati, devono cercar rifugio in esilio coloro che non vogliono arrendersi di fronte alla corruzione dilagante.

      Del resto i protagonisti della cornice decameroniana non fanno altro che seguire l’esempio di molti concittadini:

      io giudicherei ottimamente fatto – dice Pampinea – che noi, sí come noi siamo, sí come molti innanzi a noi hanno fatto e fanno, di questa terra uscissimo, e fuggendo come la morte i disonesti essempli degli altri, onestamente a’ nostri luoghi in contado, de’ quali a ciascuna di noi è gran copia, ce ne andassimo a stare, e quivi quella festa, quella allegrezza, quello piacere che noi potessimo, senza trapassare in alcuno atto il segno della ragione, prendessimo.7

      La preoccupazione nei confronti dell’onestà da servare ritorna altresí nel breve dibattito che segue la proposta:

      se alla nostra salute vogliamo andar dietro, trovare si convien modo di sí fattamente ordinarci, che, dove per diletto e per riposo andiamo, noia e scandalo non ne segua.8

      L’esilio scelto dai narratori decameroniani ha una durata ben limitata. Al momento della partenza la questione non desta troppe preoccupazioni e vi s’accenna solo in maniera indiretta: la discretissima Filomena dubita fortemente «se noi alcuna altra guida non prendiamo che la nostra, che questa compagnia di dissolva troppo piú tosto e con meno onore di noi che non ci bisognerebbe», mentre Pampinea si dichiara pronta a dar a tutti l’esempio «per lo quale di bene in meglio procedendo la nostra compagnia con ordine e con piacere e senza alcuna vergogna viva e duri quanto a grado ne fia».9 Trascorsi quindici giorni dalla partenza, la gentile brigata decide di tornare sui proprî passi, non senza però – ci si dice – un animato dibattito: «i ragionamenti furon molti tralle donne e tra’ giovani, ma ultimamente presero per utile e per onesto il consiglio