Augusto De Angelis

Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi


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nelle vene. Quella era, press’a poco, una frase sua. Ma allora, la donna fingeva? Aveva preparato tutta quella scena e la recitava da grande attrice? Lui non aveva immaginato nulla di simile e sentiva quasi vergogna di essersi fatto giocare.

      Meraviglioso!

      Anche la profezia era stata una commedia!

      Un grido terribile, inumano, straziante lampeggiò nel buio, come cosa viva.

      Tutti rabbrividirono dalle anche al petto, percossi da verghe sottili. L’angoscia li afferrò alla gola.

      Il grido si ripetette. E nel buio si udì il rumore di una lotta. L’allacciamento di due corpi, che si dibattevano.

      De Vincenzi si gettò contro il muro, vi fece scorrere sopra le mani, cercando disperatamente. Trovò il commutatore e la stanza s’inondò di luce.

      La signora Sorbelli era in terra riversa e, curvo su di lei, comprimendole il ventre con un ginocchio, il dottor Marini la stringeva alla gola con mani inesorabili, e le dita premevano a fondo, penetravano…

      De Vincenzi si lanciò di balzo. Ma prima di lui arrivò Pietro Santini. Afferrò il dottore pei capelli, lo rovesciò all’indietro, lo strappò dal corpo della donna con la violenza con cui si svelle un arbusto dalla terra.

      Lo tenne sollevato e stava per schiantarne la testa contro il tavolo massiccio, quando De Vincenzi lo raggiunse e lo colpì con un pugno alla mandibola.

      «Lascialo!».

      Pietro vacillò e lasciò la presa.

      Il dottore s’afflosciò, girò su se stesso, s’appoggiò con la schiena al tavolo, vi si aggrappò e rimase così, ansante, rantolante, gli occhi iniettati di sangue, la bocca bavosa.

      In terra, la donna aveva perduto conoscenza. Gli altri guardavano terrorizzati.

      «Sani!» gridò De Vincenzi.

      La porta della stanzetta si aprì e i quattro uomini apparvero.

      «Frugalo!» ordinò il commissario.

      Sani si gettò sopra Marini e gli passò le mani sul corpo, premendone le tasche. Da quella di destra della giacca tolse una rivoltella.

      «Dammela!».

      Era una rivoltella piccola, nera.

      De Vincenzi se la mise in tasca. Poi si volse a guardare il dottor Sigismondi, che si era inginocchiato vicino alla signora Sorbelli e le ascoltava il cuore.

      Il dottore si alzò, corse alla sua busta, ne trasse una fialetta.

      «Acqua!».

      I due agenti s’affrettarono verso l’ingresso.

      «Lì» riuscì ad articolare Chirico e indicò la terza porta.

      C’era acqua corrente e un bicchiere. Sigismondi lasciò cadere molte gocce dalla fiala nel bicchiere, per metà pieno d’acqua, poi versò a forza il liquido, tra le labbra della donna immota.

      «Non c’è altro da fare» disse. «Non ho con me la siringa delle iniezioni. Non sapevo! Se il cuore le regge è un miracolo».

      Ma la donna riprendeva a respirare.

      «Portatela in un’altra stanza!» disse De Vincenzi agli agenti ed essi la sollevarono e la trasportarono nella stanzetta di mezzo, là dove avrebbe dovuto apparire il fantasma materializzato.

      Sigismondi li seguì e lo si vide prendere il polso della donna e curvarsi nuovamente su di lei, che i due uomini avevano deposta in una poltrona.

      «Cruni, conduci via quello lì…» e De Vincenzi indicò Santini.

      Il giovanotto era mortalmente pallido e saettava Marini coi suoi obliqui occhi, che la collera rendeva ancor più strabici.

      «Fallo chiudere in casa».

      Cruni lo afferrò per un braccio. L’altro si lasciava trascinare. Uscirono. Allora, De Vincenzi si volse a guardare la signora Magni.

      Si teneva ritta, senza bisogno di appoggio alcuno, e fissava il dottor Marini con intensità, quasi sforzandosi di capire un enigma.

      La verità — se pure quella che appariva era la verità — le si era rivelata tanto folgorante e in modo così drammatico, ch’ella non poteva ancora rendersi conto del significato di essa.

      Il commissario le si avvicinò, le prese con dolce rispetto una mano e la condusse verso l’ingresso. La donna si strappò dalla sua concentrazione con un sussulto.

      «Non ha più bisogno di me?» disse.

      «Non credo. Grazie».

      Quando passarono dinanzi al dottor Verga, che nel buio aveva afferrato Patt per un braccio e che la teneva ancora, De Vincenzi gli disse: «Vuole accompagnare a casa la signora, dottore?».

      Verga lasciò il braccio e s’inchinò, ma l’occhio gli corse con apprensione alla fidanzata.

      «Ho giù l’auto» disse la vedova. «Posso condurre a casa la signorina».

      I tre uscirono, la signora Magni avanti, Patt e Verga subito dietro.

      De Vincenzi, che li aveva accompagnati fin sulla soglia, tornò rapidamente e si guardò attorno.

      Non c’erano più che Chirico e Pietrosanto, ch’eran caduti a sedere in un angolo e lì rimanevano inerti e spenti, come i lucignoli dei ceri, a funzione finita, dopo passato il chierico con lo spegnitoio. Tutti raggricciati in se stessi sembravano proprio due stoppini abbruciacchiati.

      E poi Sani e gli agenti.

      Sani stava presso il tavolo a cui si appoggiava ancora il dottore Marini. Questi si andava calmando. L’occhio gli ritornava normale. Le labbra gli si asciugavano.

      Quando vide ritornare De Vincenzi, parlò subito.

      «Quella donna è una ciurmatrice!» e diede un’occhiata alla stanza in cui si trovava la Sorbelli con Sigismondi. «Questa sera stava per ripetere la stessa immonda finzione di quando predisse la morte di Magni. Ho perduto il lume della ragione. Voglia perdonarmi».

      Allora De Vincenzi disse poche parole, con voce gelida.

      «In casa sua, mentre lei era qui, hanno trovato La Zaffetta.».

      Il dottore emise un debole gemito e sollevò verso il commissario i suoi tondi occhi fattisi supplici: «Dovevo ucciderlo! Mi creda! Dovevo ucciderlo!».

      E De Vincenzi tirò un sospiro, perché nessuno era andato in casa del dottor Marini, quella sera, e nessuno aveva trovato La Zaffetta.

      R

      «Da trent’anni lo odiavo»

      «Vuol parlare adesso o domani?».

      «Come vuole! Meglio subito».

      «Aspetti. Segga. Telefono al giudice».

      «No. Prima con lei! Bisogna che lei capisca».

      «A che cosa può esserle utile?».

      «Vorrei che lei vedesse sino in fondo alla mia anima! Oh! Lo so che non servirà a salvarmi. Ma questa sera, dopo quanto è accaduto, non potrei non dir tutto! Domani, lascerò che parlino gli altri. Firmerò tutto quello che vorranno. Ma lei deve conoscere le ragioni, che mi hanno spinto a ucciderlo».

      «Le conosco!».

      «No! Le dico di no! Non può conoscerle!».

      Sempre aggrappato al tavolo, s’infiammava. Sembrava discutere con trasporto una questione generica e teorica.

      Era tornato l’uomo normale, soltanto un poco concitato e un poco ansante, forse per l’accesso di poco prima. Poiché egli aveva avuto un vero