anche ed in tal caso di impressione materiale della storia perché questo è il principio su cui si basa la genetica ,il cui sviluppo è legato alla
necessità di approfondire gli aspetti biologici e materiali.e Focault, proseguendo e spezzando, ed anche non, diceva che la classificazione serviva per soddisfare la voglia acquisitiva dello scienziato. Al contrario io affermo che la classificazione è lo specchio della capacità diversificativa della materia , e di nuovo rispecchiamenti e tendenze, unitamente ad una sua divisione rispetto a noi che potrebbe andare al di là della nostra capacità percettiva. L’importanza della divisione come ostacolo alla percezione della cosa in sé di cui cogliamo con gli studi un aspetto prescindendo dal rapporto di elementi la cui scissione attraverso apparecchiature ci diviene visibile, è ribadita ed uno studio approfondito meriterebbe lo studio della parte liquida del cervello. Che l’idea, in corrispondenza a ciò che Jung ed anche Freud che era un organicista ritenevano, si imprime nella materia, ed è ciò che avviene forse a livello organico, altrimenti si deve parlare dell’organico quale funzionale, o strutturale- funzionale, è ovviamente una idea generalmente ammessa come dimostrano le applicazioni compiuteristiche le quali esulano dalla possibilità di un mondo costituito dalla intelligenza artificiale perché non penetrano nel rapporto biologico tra tessuto ed assenza di tessuto. Il pensiero prescinde dal mio punto di vista dalla organicità della strutturazione cerebrale, aderendo a ciò che Jung tacitamente pensava, ma potrebbe pur sempre paradossalmente come in una prigione, socraticamente, lasciar segni , ricevendone una impressione la materia. Il cervello dimostra che la materia lascia un incipit, un incedere come avviene quando poggiamo il dito sulla sabbia ed è la stessa idea di Freud sulla memoria. Analizzo ora la contraddizione che deriva dall’avvicinamento a Dio attraverso il sublime offerto dalla natura la cui capacità o abilità a permetterci di cogliere Dio deriverebbe invece per Kant presumibilmente dal sentimento del bello assoluto, se non si tenesse conto dei riferimenti alla grandezza che implicherebbero una modifica non avvenuta alle tavole della Ragion pura, ovvero una modifica del ruolo dell’intelletto, e ciò in quanto le categorie sono anche geometrico- matematiche, e seppure la ragione sia pura al pari di spazio e tempo, senza la mediazione delle categorie non coglieremmo l’assolutezza del sublime, ovvero non percepiremmo la sua mostruosità-irrazionalità , e si tratta di una armonia che necessariamente ci deve portare ad un ruolo spaziale della ragione, ovvero alla analisi hegeliana. La prima impressione che deriva dalla imago Dei è quella della grandezza del Dio, e della piccolezza dell’uomo, che evoca la stessa percezione che pone la percezione dell’infante rispetto a qualunque spazio esterno da lui non percepibile e percepibile, e dunque la sintesi materialismo-idealismo e dialettica si pone in tal caso differentemente ,ossia idealisticamente. Da ciò si evince il carattere innato delle qualità geometriche ,ed in primis della grandezza, intesa come spazio interno ed esterno, ovvero intesa come riferimento ed anche interno come luogo delle possibilità ideative e ideatorie. Si coglie Dio nel sublime in conseguenza della relazione innata piccolo e grande, ovvero unità e poi quantità, ovvero in intellectu percepiendi. Con ciò tendo a teorizzare il carattere innato di più relazioni che compongono la categoria della relazione, e la relazione è l’ubi e il qui et ora hegeliano la cui migliore evoluzione è quella dell’atomismo, e relazioni tutte innate a differenza della quantità che poggia sulla differenziazione - molteplicità e quindi sulla potenza del numero matematico a livello primordiale e innato. Tornando a Freud e Jung ritengo con Freud che l’inconscio debba ricevere una sistemazione organica ad opera degli studi scientifici. Tornando all’esame della categoria piccolo-grande, individuata da Aristotele nella metafisica, come anche l’altra ovviamente importante uno e molti (questa ultima attiene maggiormente alla fisica, e alla distinzione con cui si figura la diversificazione della materia) si pongono due grandezze una definita dall’essere in una linea che determina l’involgere di una forma nella forma che rappresenta la geometria della materia permessa da colore e vuoto, ovvero non essere come non essere anche della grandezza( pensa alla distanza che si pone tra terre dello stesso colore attraverso la demarcazione di un burrone), l’altra indefinita ma non perciò invisibile, che determina lo sviluppo di ulteriori qualità sensistiche ,che prescindono dalla qualità sensistica della vista, presupponendosi così il partire della conoscenza cui tale invisibilità indefinita non invisibile appartiene anche come percezione da un incognita il cui strutturarsi dà adito alla congettura della dicotomia intuita dai greci tra essere e nulla o non essere, e dunque creazione. La grandezza della incognita struttura il nulla, istigando alla sua nullificazione che la penetrazione fa sua con il prorompimento che implica una lesione violenta dello spazio, oppure una appropriazione, una ingurgitazione, una distruzione: lo stesso implica dunque la ingestione di cibo e acqua che importa la distruzione dello spazio che si è prorotto e che opera in assonanza all’istinto di conservazione. Ci si chiede se la qualifica di forza spetti alla libido, o all’istinto di conservazione. Ritengo che essa spetti in maggior grado alla libido, nelle sue connotazioni energetiche junghiane, trovandosi l’istinto di conservazione in una situazione parassitaria rispetto cui si deve pensare alla esatta definizione di fuga e attacco, perché anche l’attacco è eros ovvero libido,
ovvero è il carattere erotico del proprio sé linearmente adiacente all’autoerotismo e dunque alla perversione, compreso il sadismo, la sublimazione. Importante la comprensione inconscia delle modalità comunicative dell’istinto di conservazione, che si esprimono necessariamente, nella dialettica essere o nulla ,visto che l’istinto ha due poli che sono vita, nutrizione, e non attacco, cui si aspira nell’istinto, e morte, la cui rappresentazione e percezione è formativo dell’attacco- fuga come distanza ed avvicinamento. Ciò dovrebbe portare ad una ratifica di Freud sulla legittimità esistenziale della pulsione di morte. Esse non promanerebbero solo dall’Io nella figura prospettica e opposta del non Io anche come oggetto, ma dall’istinto di conservazione, ovvero anche dalla parte inconscia ed essendo l’Io soprattutto conservazione, ovvero invadendo la stessa così i due settori dell’attività neuronale ,conscio ( di qui lo sbaglio in quanto l’inconscio ci dà una percezione vaga) e inconscio, di cui non abbiamo una pienamente cosciente elaborazione, e cosi via con tutto il trauma del lutto e della sua elaborazione a partire dalla soggettività della struttura della pulsione di morte. Ciò porta alla qualifica e conseguentemente, passando ad altro, al carattere dell’inconscio come non cosciente, e irrazionale, ma non in toto, e ciò struttura l’importanza dell’insight, e spiega l’utilizzo da parte di Freud dell’ipnosi, che essendo equiparata al sogno riguarda la eliminazione del conscio ovvero inconscio anche come luogo del trauma- ristrutturazione, ovvero attraverso il transfert, ed insufficienza della ipnosi per svariate ragione. Sembra che l’ipnosi determini uno slegamento ,e un rallentamento del pensiero ,che determina da un lato la non coscienza ,e il suo fondarsi sulle suggestioni, quelle anteriori e quelle dell’ordine successivamente eseguito, mentre per il resto e la suggestionabilità bisogna fare riferimento a Pavlov e al condizionamento, suggestionabilità e condizionamento che risulta essere agevole per l’adatto al riflesso condizionato, ovvero per colui su cui il condizionamento agisce e dunque anche la suggestione. Ritorniamo alla dialettica tra essere e niente, titolo dell’opera di Sartre, le cui tesi sono interessanti e per me giuste. Ossia lo strutturarsi sensistico presuppone il nulla ,a livello di elaborazione delle sensazioni, da cui in virtù dell’esplicarsi del nulla potremmo prescindere costituendoci nella dinamica dell’Io penso che si esplica attraverso la conservazione perpetrata dall’identità io sono io rispetto cui si pone la dinamica del non Io, ovvero Io che si scinde dallo spazio esterno, nullificandolo ,e nella possibilità di nullificazione si basa il prescindere che dà corpo all’ irrazionale, che determina la stasi trascendentale, e la materialistica, di predominio, tale ultima, della sensazione e della sua centralità, che ci consente la possibilità di interpretazione ,attraverso lo svolgersi del costituirsi a centrale la elaborazione, ovvero la attivazione dell’Io e di colui che per l’io lavora, servo-padrone , condeterminando la stasi materialistica nel tempo ovvero la possibilità di estroversione-edonismo. Ma la stasi materialistica che determina la interpretazione e decodificazione della materia in modalità linguistica, e rappresentativa , trascendente ,o meglio figurativa , materialistico- trascendente, rimanda al simbolo inconscio. Ci si potrebbe chiedere dove si struttura la capacità di stasi, se nel conscio o nell’inconscio, o se in entrambi. Questa ultima probabilità pone il problema tra lo strutturarsi della stasi inconscia ,rispetto alla conscia. Con ciò il concetto di stasi prescinde dalla categoria di esistenza, e presuppone un equilibrio fisso che prescinde dal movimento-vita, in cui l’equilibrio