delle codificazioni interiori al concetto di Nulla, in chiave sensistica e fisica, l’altro riporta la ricerca nell’ottica delle pulsioni di morte di Freud, e quindi in chiave idealistica e psichiatrica. Se si pone come inizio il principio di forma ed assenza di forma ,ossia essere e nulla , vi devono essere pulsioni che spingono lo spirito alla assenza di forma, e tali sono le pulsioni di morte, cui si oppone l’istinto di conservazione che dà inizio alla attività cosciente. Le pulsioni di morte hanno dunque un contatto rispetto alla legittimità del loro essere con l’inconscio, maggiore dell’istinto di conservazione e della conservazione, tranne per il nulla racchiuso nella stasi identitaria, e fattore quello di pulsioni di vita-istinto di conservazione e pulsioni di morte che scinde la demarcazione tra conscio e inconscio che esso pone. In altre parole l’istinto di conservazione si basa sulla unione delle pulsioni dell’Io ,rappresentate da quella identità, che ne legittima la esistenza con una pulsione aggressiva, il cui indice di intensità della aggressività è relativo e si affida e sfrutta per il soddisfacimento i prorompimenti della libido, ovvero un aspetto della socialità quello della soddisfazione al pari della trasformazione libidica omosessuale in pulsione sociale. Le pulsione dell’Io che rientrano in questo schema includono le pulsioni di morte ,che sono originarie, attenendo alla opposizione forma-non forma, e che racchiudono una pulsione aggressiva masochista, che si differenzia dal sadismo visto la posizione cosciente del sadico che ama l’esibizionismo della schiavizzazione ,equivalente al potere, ovvero ciò fa parte anche dell’ideatorio quale dialettica del servo e del padrone, ovvero sadomasochistica, mentre l’emotivo ci porta ad altre strutture. Tale situazione che descrive lo status quo del sadico ci rimanda ad una costituzione cosciente, per quanto originaria, in quanto risalente a quella identità che postula la coscienza, dato che nel prorompimento il cui sviluppo logico è la sottomissione all’oggetto nutritivo e meno, si denota e ne deriva la scarsa legittimazione del potere ,che implica la sottomissione del o di più soggetti alla altrui personalità cosciente, o meno, fino al concetto di distruzione di sé che non è masochismo ma sadismo ovvero la distruzione della identificazione con sè che può tradursi anche nella follia-dissociazione del sadico. La psichiatria deriva il suo natale, e in ciò sta il suo derivare dalla filosofia ,dall’opposizione tra interno e esterno. E tale opposizione, che scinde lo spazio dal senso interno che trova la sua spazialità nella materia , e che è già manifestatamente idealista, innesta l’assurgere della psichiatria a scienza dell’interno ,in opposizione alla fisica ,come esprimente le determinazioni spaziali. Le fluttuazioni delle indagini psichiatriche e il proliferare di tesi che assurgono a ipotesi sulle caratteristiche strutturali della sensazione derivano da una volontà di unificare i campi, ma la percezione della materia è soggettiva, e la oggettività deriva dalla condivisione, ovvero pur sempre è soggettiva, ed ancora oggettività per quanto anche organica, ovvero comune alla materia. E’ in tale settore , ovvero quello esplicitato sopra l’ultimo paragrafo, che si sviluppa un etica morale e la dinamica dell’influenzamento in opposizione al volere del nulla quale risultante ed espressione del risultato del nulla del sadico. La morale è innata solo se non è esterna alla identità io sono io. Si noti la mia critica, e non il criticare Kant, critica all’imperativo categorico per giungere a Platone, ovvero la mia adesione ad altro come il misticismo ,e se non fosse altro che Kant l’a-priori lo pose, e poi lo negò con la antinomia e con la struttura della ragione e il suo ruolo, e con la conseguente impossibilità del trascendente, ovvero sulla assenza di soluzione della antinomia a livello morale, perché di quello si parla anche se ci si esprime a proposito del fisico, ovvero ciò può essere visto come il bivio della ragione e il terreno della ragione stessa, ed in tal caso non sarebbe affatto una critica, ma se l’intelletto è puro deve avere un ruolo nella purezza della ragione, ovvero nel terreno della deduzione che pone in modo differente la induzione, e ciò in senso popperiano, osservazioni e logica. La prefigurazione di un giudizio delle Sacre Scritture porta ad una contestazione di Kant sia pure siano accettabili le sue tesi sullo svolgimento istituzionale della classe organizzata a clero ,e sulla utilità delle cerimonie. L’imperativo categorico non è innato, ovvero puro, ovvero non è determinato, seppure si possa fare riferimento alla sintesi pura, ma la migliore prefigurazione della retta azione è quella di Kierkegaard, seppure si possa accettare molto del parziale idealismo kantiano, comprese antinomie che antinomie non sono, ma sono possibilità dell’ esistente,e meno ,ed è per tale via che si torna all’intelletto come sede delle categorie ed anche ad Aristotele, il cui ruolo strutturale e il cui ruolo di Kant che comunque aveva buona vista riguarda altro. Ovvero una cosa non può essere e non essere allo stesso tempo, ovvero può non essere qui ed essere altrove ,e può non essere adesso ed essere dopo, ed in tale esaltazione dello spazio della possibilità propria di Hegel ma anche di Heidegger ,quale con- determinismo, tale ultimo, non materiale, la antinomia non ha senso, anche se può avere senso lo scetticismo, e con ciò la inconoscibilità, e tale ultima non è una antinomia altrimenti si cadrebbe nel pensare di sapere, e, fermo restando la legittimità teologica della ignoranza, la colpa ricade anche sulla intenzione, e sulla inescusabilità della ignoranza, teologicamente. Ma forse pure Kant alludeva riprendendo Socrate ad un presunto legame di virtù e conoscenza e con ciò siamo già altrove, ovvero al perché affidarsi al sentimento non ha senso per via del desiderativo, e codesto è uno sbaglio affermativo, e se il desiderio nel sogno si traveste ogni processo desiderativo è fatto di travestimenti e dunque con ciò sia il desiderio del bene che del male, precisando che il travestimento fa parte dell’inganno del male, in barba al vizio della superbia e precisando che il travestimento attraverso il desiderio del bene fa parte del peccato, ovvero della teologia del peccato. Siamo così arrivati a Platone e alla teoria dell’Iper- Uranio che implica una scissione tra l’io che è esistenza nella identità, e l’idea ,che comunque implica una primigenia idea del sé, e le idee. Ovvero forse la collocazione della idea ,per quanto opera, è esterna a chi l’ha pensata ed in quanto comprendente verità e illusione di verità, e la verità non è nostra fino a giungere alla delucidazione del so di non sapere, la quale celatamente è la umiltà del vero saggio. Secondo un punto di vista teoretico, lo stesso implica una presunzione di possibilità della stasi ,ovvero la idea si separa dalla identità io sono io, il che implica la considerazione di attribuzione di indipendenza a quel mondo da Platone definito super uranio, e tale separazione della idea è la stasi nel senso di non essere e essere della idea allo stesso tempo, ovvero del suo non essere soggettiva ed essere oggettiva e per quanto soggettiva nella emozione nel far parte della categoria dell’interno- esterno del pensante cui l’idea pertiene. Successivamente forse riprenderò la questione. Riprendendo e partendo dalle considerazioni di Italo Valent per una più esatta comprensione delle dinamiche culturali che sottostanno alla patologia derivante dall’esplicitarsi di ciò che racchiude il concetto storico di follia, unitamente alla percezione storica nei suoi confronti, sviluppata da parte di coloro che entrarono in contatto con persone assoggettate a tale forma di pensiero (considero insomma la pazzia una diversa forma sintetica, ovvero nel vero senso del termine dialogico) ricollego il testo al testo interessantissimo di Focault la Storia della Follia in alcuni punti medico e biologico, che spiegano tanto della angolazione del punto di vista nazista sulla follia al pari del concetto di inutilità, e ciò in quanto si danno colpe ad altri rispetto a colpe già avvenute dato che nei manicomi venivano rinchiusi come pazzi anche i mendicanti e trattavasi di un circo dove le belle signore si intrattenevano pagando come narrato da Erasmo da Rotterdam nella eresia di Elogio della Follia, il quale in realtà è una condanna. La distinzione ,su fatta, tra l’atteggiamento di annullamento e l’atteggiamento di dipendenza deve essere presa in considerazione nella esplicitazione della tipologia psicologica dei soggetti con cui veniamo in contatto, ma anche in merito all’atteggiamento di dipendenza e annullamento delle funzioni junghiane, un samsara. L’atteggiamento di annullamento dovrebbe in ulteriore analisi caratterizzare il tipo introvertito di Jung, mentre quello di dipendenza il tipo estrovertito. Nel primo caso si struttura la trascendenza che è una derivazione della astrazione, ovvero una sua direzione insita nel carattere e nell’ambiente e emergente anche nella dialettica frustrazione-onnipotenza e dilazione della onnipotenza della nutrizione, ovvero della situazione che si crea, e dell’Edipo, il peso del voler essere il Padre che ci abbandona al regno dell’ideale-ideativo, come adorazione e come distruzione, come sacro e profano o blasfemo, come Totem e come Tabù, nel secondo si struttura l’imprigionamento dell’io nella materialità della percezione sensoriale ,non solo materiale, ma anche sentimentale, e tale coacervo incastra, e da esso deriva la volontà di ripetere le percezioni che poi sono gli