impenetrabile, sempre che il movimento esista ,ovvero comunque esiste in noi. Ricevono una più compiuta analisi le categorie di equilibrio e movimento che hanno una strutturazione cui dovremmo con presunzione attribuire la qualità di funzioni delle sostanze. Se mai il problema è se siano sostanze, in quanto se si dovesse optare per una classificazione che si ponesse all’interno di una tesi che miri a legittimare l’idea della derivazione dalla materia e la dipendenza della nostra esistenza da un Dio esse dovrebbero assurgere alla denominazione di attributi o modi di esistenza. Tali modi ,la stasi e il movimento sono apparentemente tra loro opposti. Ciò non esclude la possibilità dell’instaurarsi della stasi nel movimento, altrimenti non si avrebbe godimento né tantomeno memoria, e questa è parte di una apparenza di opposizione in senso hegeliano, dunque dialettico, in cui il concetto del movimento e del tempo conduce ad una immutabilità necessaria del tempo in cui il movimento è esplicabile. Alle posizioni di stasi e movimento corrispondono all’interno del flusso da cui scaturisce il movimento e la molteplicità ideale, gli istinti di conservazione e la libido di cui l’aggressività è una componente degenerativa della volontà di prorompimento e appropriazione, che partecipa anche agli istinti meccanici ,anche se conservatori, di fame e sete ,che derivano ,come da una necessità imposta all’uomo, necessità che lo rende autore della distruzione e della nullificazione dell’oggetto che ingerisce anche in forma di attacco e difesa. Si potrebbero valutare da tale visuale le pulsioni di morte ,come una degenerazione dell’istinto di aggressività, che è degenerazione o specificazione della libido, data nel godimento della distruzione-omicidio e dipendenza da esso, e che potrebbe darsi derivi dalla volontà di nullificazione dell’identità io sono io espressa in volontà dell’amore dettato dalla proiezione sensibile, proiezione in quanto ideativa o rappresentativa e non percettiva, e che implica nel complesso un flusso tra soggetto e oggetto, tra soggetto e spazio esterno, che deve essere colto se si vogliono intendere le affermazioni hegeliane sulla coscienza universale. Ovvero siamo sia sul piano in tale ultimo caso della distruzione dell’edonismo assoluto dell’oggetto attraverso la distruzione di sé sia su quello del distacco dal reale nell’amore ideatorio e contemplativo della proiezione organica e mentale dell’oggetto dentro di sé, in tal caso ulteriore piacere e ritorno al reale o divorazione. Riprendendo quanto detto poco più sopra dal discorso su fatto si evince l’importanza sensistica che determina la genesi aprioristica della matematica e della geometria, come innata alla attività cerebrale, in quanto insita nella contrapposizione piccolo-grande, o meglio, piccolo incognita esterna ,che solidifica, a partire dalla quantità ovvero dal suo grado, ovvero dalla qualità e da cui associazionisticamente (processo primario a livello emotivo) deriva la categoria di rapporto. Esplicito poi anche a proposito dell’auspicio di una migliore comprensione dell’importanza sensistica del tatto in relazione agli atteggiamenti di chiusura e schiusura dell’essere rispetto all’ente ,che concretizzano e danno corpo al Dasein hedeggeriano, ovvero il dialogo tonico e la esplorazione. La nullificazione delle corrispondenti intensità delle sensazioni ,e conseguenti percezioni ,non determinerebbe stando alla nostra tesi il cessare della identità io sono io, e quindi della percezione di esistenza. Esprimiamo a livello ideale ciò, correlando il discorso alle affermazioni fatte in relazione alla tesi sulla spazialità della idea ,desumendo che la esistenza promana dalla identificazione dell’io con se stesso, e non vi è migliore espressione conservativa a prescindere dalla consapevolezza che si abbia di ciò. Tale coincidenza consente la stasi, che è racchiusa nella idea che conferisce ad essa senza dubbio la qualifica di Uno scisso ,di cui sia Platone ,ma in particolare Parmenide intuirono il carattere. L’uno è qualifica dell’essere o dell’idea? Implica divisibilità o indivisibilità e quale il suo rapportarsi allo 0 di lui minore o parte? Si rifletta. Il fatto che percepiamo qualcosa grande indipendentemente dalla vista si spiega in base alla innatezza della derivazione di materia e spirito da qualcosa di grande ,ossia l’Architettura, ovvero la Creazione, di un Dio che può essere anche il Niente, essendo il Creatore del Tutto o il legittimato all’uso del Niente. Niente che coincide nelle evidenti diversità come anche niente ed assenza di percezione ,o sensazione, determinativo la atarassia, come dimostrano anche i riflessi Pavlov e stante la vicinanza di sonno coincidente con la soppressione degli organi di senso, e assenza di movimento ed ancora con annessa aponia , la quale è derivante dalla scissione determinata o divenuta costituiva tra Io e spazio esterno o disinvestimento inteso anche come cosa che presiede al condizionamento e alla sua struttura. Ma se permane la coincidenza dell’Io il niente diviene compatibile alla stasi nella esistenza, ipotesi ,queste ambigue ,ma matematicamente rappresentabili nel flusso dello zero. L’unità dunque rappresentata dall’Uno non implica necessariamente stasi, ma la necessaria riduzione di presenza di parti , con rispetto al due che implica un flusso di diversa velocità ed esplicazione, la cui armonia realizza l’apparenza della stasi. L’importanza della parvenza con le stimolazioni scettiche che il principio comporta ,la cui derivazione espressa in termini sensistici e soggettivi è l’illusione , deriva e risiede nella impossibilità di determinare il movimento ,da cui la parvenza si struttura in impenetrabilità , o reale, che dà corpo alla tesi di non possibilità di comprensione della cosa in sé kantiana. Il niente evoca la stasi ,al pari di atarassia e aponia, il concetto di morte epicureo. L’importanza della stasi si evince anche nelle qualifiche aristoteliche di motore immobile, ma le stesse parlano di altro , ovvero della origine del movimento, e penso siano anche applicate a differenza delle parti aristoteliche sul geocentrismo. Ma se la stasi ,e la assenza di percezione coincidono, come raggiungiamo la coscienza della stasi? Si evince che necessaria alla esistenza è l’identità dell’io con se stesso e che la costituzione attuale dello stato da definirsi cosciente è strutturata sulla percezione, che a sua volta è una conseguenza del prorompimento caratteristico della libido nello spazio esterno. Bisognerebbe studiare quanta coscienza si esplichi nel prorompimento libidico, e nella conflittualità-armonia io e spazio esterno, ovvero nella sua distruzione-contemplazione, e quanta ne derivi dalla percezione di se stesso riflesso(il che implica il processo degenerativo della ragione che incontra con ciò attraverso il prorompimento libidico uno scopo, che potremmo paragonare al soddisfacimento libidico, che si esplica, invece , a livello materiale. Si potrebbe ritenere che il procedimento di elaborazione razionale goda della scissione io -spazio esterno ed interno- esterno che consente la applicazione e il prolungamento della identità io sono io nello spazio. Ovvero noi percepiamo quella stasi dell’io con se stesso attraverso il movimento, ovvero attraverso altre ipotesi che non esplicito, e il movimento è dato dal desiderio ovvero dalla conservazione che nello stesso tempo fa essere quella unità indifferente una come descrisse HegeL). Vi sono due modalità costitutive della coscienza. La prima è data dalla coscienza che si esprime nella identità io sono io ,che permette di ipotizzare la possibilità di stasi ,che dovrebbe racchiudersi nella unità della idea di sé che è pur sempre in oppositum una idea che ne legittima altre, una idea, continuando, che quindi dovrebbe essere semplice ,ossia una unità. Bisognerebbe leggere a fondo scritti di Platone e le sue lezioni visto il suo considerare sia l’Uno sia la Diade. La molteplicità corrisponde alla diade. La semplicità della idea è poi paradossale. E’ la semplicità a determinare unità e stasi. Si postula che il nulla sia in opposizione alla forma con ciò sottolineando che già la definizione implica un concetto di forma e la forma contiene anche la assenza di forma per lo meno dialetticamente, pena il vigere della follia ovvero la presenza di una perdizione. L’assenza di forma sembra, e dico sembra, contraddistinguere l’inconscio la cui assenza di forma è una conseguenza del raggiungimento nel maggior grado di attività dell’inconscio, ovvero della assenza di temporalità che si determina in virtù della impetuosità della pulsione o delle pulsioni che determina una velocità che neutralizza la percezione, e dunque è una assenza di forma funzionale e non strutturale, e non antagonista all’essere dell’organo, e neutralizza tale assenza di tempo la percezione del conscio considerato o lo scarso tempo di contatto o la bassa intensità della sensazione, fino a giungere al concetto puro della percezione della morte propria dei poli esistenza- inesistenza, ed ovviamente quella della velocità è una delle dinamiche di a-temporalità. Questa capacità del togliere e dare la forma a sé stesso come alla materia postula la ideazione, e legittima meritando dovuti approfondimenti il rapportarsi dell’essere al nulla a livello di un ideativo che diviene il percorso della azione e del suo essere, ovvero del suo essere anche un disimpasto e a livello di un materiale che differentemente incide come struttura del niente, ovvero da qui la necessità di ideazione e movimento. Cos’è il nulla? Ultimo la mia considerazione sul niente o nulla rimandando