soddisfacimento, che determina, andando ancora oltre, una stasi differente rispetto alla stasi che deriva dalla ripetitività del soddisfacimento la cui dinamica e ricostruzione poggia sulla capacità mnemonica soprattutto sensistica di riprodurre nel tempo il soddisfacimento affermando così la esistenza di una memoria per ciascun senso cui si aggiunge la memoria che astrae ma non prescinde mai totalmente dal contatto con il dato materiale che integra e struttura la capacità sensibile fino al trascendente o se volete astratto e formale. Ossia questa memoria sensistica o coscienza sensoriale deriva dall’affinamento dei sensi e dalla loro capacità di conservare tracce mnesiche del contatto culminanti nella immagine simbolica che rappresenta il fulcro di ogni discorso di strutturazione interiore della proiezione anche dell’io, dal momento che è l’immagine che muove il soggetto al posto dell’oggetto, e le cui distorsioni ,che possono assumere carattere patologico ,e le cui ricostruzioni soggettive e non oggettive ,devono essere messe in relazione con l’operare di tale memoria che per la vicinanza all’inconscio vista la capacità di memorizzare anche dati di bassa intensità chiameremo memoria base o remota e inconscia. L’affiorare al conscio delle immagini immagazzinate da tale memoria sembrano continuare a legarsi alle potenzialità ed ai limiti che derivano dallo svolgersi del nesso associativo, ovvero ad un abbassamento della coscienza o allentamento del nesso, ma anche altro, nesso associativo che struttura la coscienza ,che si oppone all’inconscio con ciò evincendosi che l’inconscio può divenire conscio, e lo diceva anche Freud, seppure a livello patologico. La struttura della pulsione di morte differisce dalla
struttura di ogni altra pulsione. La sua strutturazione la fa apparire interna a ciascuna pulsione. La pulsione di morte sembra interna a causa della piccolezza e della frammentarietà della informazione che essa racchiude, la quale è univoca, intangibile rispetto alla differenziazione della conservazione e della pulsione di vita, la cui unità è il desiderio di essere, ovvero conservazione, ovvero riguardando anche la differenziazione delle funzioni junghiane che attengono al tipo ed al carattere. Tale informazione gioca sulla dialettica essere, differenziato e nulla, univoco, ma differenziato nella sua univocità e ripetitività a livello funzionale, nel ruolo strutturale del suo essere funzione, anche perché in dipendenza o legame dialettico alla conservazione, che lo usa e rispetto cui la stessa pulsione di morte si fa usare al prezzo pagato per la sua stessa sopravvivenza, ovvero essa sfrutta il soddisfacimento che porta all’annichilimento di ciascuna pulsione producendo uno stato induttivo che può espandersi o meno, essendo minima o correlativa la relazione alla inibizione, uno stato induttivo, dunque inibente in relazione alla causalità del determinarsi il soddisfacimento di ogni pulsione, ovvero ancora un soddisfacimento esclude altri, ovvero il soddisfacimento ideativo ancora esclude quello pulsionale. Affermiamo, come Pavlov che lo stato di sonno è in relazione al soddisfacimento della cellula. Il soddisfacimento pone in rilievo la questione del contatto cellulare in quanto è attraverso l’esperimento di esso che si genera lo stato piacevole che determina il soddisfacimento che a sua volta porta lo stato induttivo, ovvero la percezione anche del piacere e il suo godimento. L’organo del tatto, come concetto, come con- tatto ,come relazione è importantissimo a livello interno o interiore, lo stimolo intero- interocettivo, e trattasi di un aggiungere ed andare oltre. Si delinea lo strutturarsi di due diverse modalità operative della stasi ,ossia di differenti vie per giungere alla stasi ,che ne determinano le caratteristiche, in parte esaminate. La stasi coincide con il diminuire della velocità la pulsione, e dunque deve essere o solo conscia o solo inconscia, essendo il conscio della pulsione di vita e non solo e non potendosi andare contro la vita, asservendosi la stessa morte alla vita e fermo restando il manifestarsi di determinate patologie. Per tale ragione la diminuzione non è immediata . Opportunamente si distinguono le fasi del sonno. La fase coincidente con la elaborazione di immagini fantastiche corrisponde al passare il senso interno del soggetto all’interno della struttura inconscia del pensiero per giungere ma non sempre al non pensiero che la stasi in ultima analisi potrebbe rappresentare, in taluni casi. Il non pensiero potrebbe essere ricavato dalla assenza di velocità che annullerebbe quella contiguità spaziale e numerica la cui conseguenza è che è l’espressione temporale. Tempo ,velocità e numero vengono presi in considerazione nella disamina dell’Uno , se la diade ne rappresenta la conseguenza e il prorompimento, ragion per cui a base di tale diade deve essere posta la molteplicità che derivando dall’Uno, ed essendone una espansione, è concettualmente numerica ma anche caotica. Continua a permanere successivamente alla scissione della diade dall’uno la volontà di autonomia che struttura e fa esistere la dualità che essa esprime come duplice unità, che reca seco ,come prima l’uno, la sua volontà di scissione derivante dall’esercizio di unità che gli elementi della diade svolgono. Ma sembra che dalla unità che si scinde in dualità si origini il movimento interno. E’ ciò che Hegel ha presente nel formulare la dialettica a livello idealistico e ciò si deve leggere anche nella opposizione coscienza-autocoscienza fino alla coscienza universale. Si può discutere se la scissione dell’Uno in una diade comporti l’opposizione degli elementi che continuano ad esprimere la unità della diade. Se così non fosse si dovrebbe cogliere nella scissione che determina dall’unità la genesi della molteplicità l’esplicarsi di una differenziazione, ovvero quanto accade a livello fisico, come differenziazione delle unità o identità, come opposizione, ovvero come simile e dissimile, ovvero autonomo. E così si postulerebbe la molteplicità all’interno dell’Uno che in tal modo potrebbe cessare di rappresentare una unità, irrazionalità numerica, quantica, movimenti. Nello stesso tempo so che pochi intendono tale costruzione. L’ipotesi è il mantenimento di esistenza per l’unità che origina la diade la cui derivazione dall’unità si basa sulla scissione dell’opposizione che tale unità contiene in unità che risolviamo anche nel senso dell’essere differente di ciò che è per ciò stesso autonomo. Da tale punto di vista la diade è l’espressione della potenza traboccante dall’Uno. Il che struttura l’ipotesi di un movimento interno a tale unità che reca seco una intensità che al più alto grado determina la scissione. Stasi e movimento sono qualità dell’Ente Uno. Sembra che le qualità dell’uno si strutturino in opposizioni il cui scontrarsi è evitato dalla coincidenza temporale che struttura stasi e movimento come fasi alternanti ossia modi di essere dell’Uno. Ma la presenza di qualità opposte che si libereranno nell’esplicarsi della successione numerica che struttura la molteplicità implica il concetto di forza. La forza che permette di racchiudere in unità qualità opposte deve essere notevole, ed implica uno stato di tensione ideale , nel verso senso della parola ,che regge tale unità. L’unità dunque presuppone la capacità di rappresentare e consolidare la unità ,nonostante le opposizioni. Si ha una scissione nell’unità tra la fisicità della stessa, e la capacità che in questo caso consiste nella forza del ridimensionare l’attrito delle divergenze che l’unità necessariamente postula. Tale discorso ha senso solo se si volesse interpretare l’unità come origine della molteplicità. A ben vedere Platone poneva nella diade l’origine della molteplicità ,per preservare il carattere unitario della unità. Ma se la diade deriva dall’Uno anche Platone deve ammettere l’esistenza di una differenziazione nella unità, che legittima la possibilità di una opposizione, da cui la diade deriva a seguito di un presunto allentarsi della forza che aggrega il tutto in unità, ovvero per via reattiva ed oppositiva. La fisica a buon ragione dovrebbe poggiare sulla matematica, se dovesse occuparsi in dettaglio di questioni immanenti. Questa è la migliore definizione di come vedevano la fisica i greci. Si inquadri in tali termini anche l’opera di Talete come di Aristotele. Platone si occupa di filosofia. Ma se la idea è numerica, ovvero in una angolazione che non esplicito, al pari della fisicità dell’Uno, come Platone teorizzò ,la conoscenza matematica doveva essere per lui un requisito indispensabile.La conoscenza razionale platonica racchiusa nella sua concezione dell’idea è un riflesso del ricordo della percezione del contatto con la materia, ed è li che si colloca la separazione cartesiana forse inconfutabile tra idea e materia, ovvero il cogito, il pensare e la idea o imago Dei. Ma l’idea prescinde dalla materia. Ma se la materia esiste deve esservi idea della materia, fermo restando che Aristotele non confutò Platone, da irruento non giunse mai ad odiarlo, anche con la stessa costruzione del sinolo. Come anche se l’Uno esiste ,o è esistito, deve aver impresso una idea. Si coglie la caratteristica della idea di essere un riflesso molteplice proprio ed appropriato della materia. L’Uno e la stasi dovrebbero garantire alla unità di preservare la sua unità, e il movimento con la sua dialettica, la eventualità di opposizioni, il panta rei e la distruzione del movimento e del tempo, la assenza paradisiaca di tempo.