Ma anche l’origine della molteplicità ideale sembra derivare dalla scissione coscienza e autocoscienza che infinitizza l’ideale infinitizzando idealisticamente lo spazio materiale, ovvero non essendo altro nel senso del suo poter essere, non essendo altro che la coscienza di sé ovvero la autocoscienza un’ideale, al pari del percetto
la cui rappresentazione per quanto racchiusa dalla soggettività in un illusione o parvenza di oggettività ha come effetto l’assurgere a centralità della soggettività nella elaborazione razionale della percezione ,che all’opposto esprime una realità, la cui caratteristica è l’impenetrabilità sostanziale. Nè percepiamo l’essenza attraverso l’individuazione ,rispondente al vero o ipotetica delle qualità, ma la sostanza ossia la somma che riduce ad unità la molteplicità delle qualità è impenetrabile ed incognita derivando il suo assurgere a tale stato dal costituirsi ad incognita di un gran numero di qualità la cui individuazione non pregiudicherebbe ancora la impenetrabilità della sostanza il cui risultato è la presunzione che si avvicina a conoscenza che ne abbiamo dal costituirsi e relazionarsi delle qualità che la rappresentano. Questa è la logica della apparenza ma anche l’essere rappresentazione della rappresentazione, che rimanda in ogni caso alla rappresentazione del cogito e all’inganno diabolico, la cui unica cancellazione pecca di presunzione e onnipotenza, ovvero superbia. Sembra che la percezione poi assorba la attenzione cosciente alla elaborazione di una sola percezione , secondo la direzione del senso ma anche del pensiero, ovvero lo spazio del senso e del desiderio dei sensi e il tempo della elaborazione del godimento e della conservazione, e ciò seppure il contatto e l’estensione determinino lo affluire di una molteplicità di percezioni che dal mio punto di vista, ovvero aderendo a una parte del pensiero di Leibnitz, vanno a costituire l’inconscio. Il focalizzarsi , dunque, della attenzione, ovvero tale dualità cosciente su una singola percezione sembra derivare dalla intensità delle percezioni ossia dalla intensità della stessa intero- percezione ,la quale deve fungere da criterio soggettivo, tipo forte e tipo debole, che esclude dal focalizzarsi della attenzione cosciente, ma sembra determinare anche la intensità stessa della percezione che deriva dall’esplicarsi del contatto percettivo soggetto-oggetto, la relazione del godimento e la dimensione del godimento. Sembra che il focalizzarsi della attenzione sembra derivare da aspetti causali , nel senso di ambientali e dunque anche soggettivi, coscienti, che determinano ulteriormente la distinzione e suddivisione conscio- inconscio, come testimoniano i processi di rimozione. E’ovvio che una percezione più intensa determini il focalizzarsi della attenzione su di essa, ovvero una percezione di una data x che rimane uguale fino ad una data x più debole e una data x più forte a seconda dei soggetti pavloniani, a livello dunque di riflesso condizionato, analisi e coscienza, fermo restando la derivazione del pensiero da esso, dal riflesso condizionato secondo Pavlov, ovvero ed inoltre il focalizzarsi della attenzione avviene solo nel caso presenti nessi associativi che permettono di radicare e abilitare lo svolgimento della attività cosciente. Se la percezione più intensa non consente l’attivarsi della attività cosciente di ricostruzione razionale attraverso i nessi associativi, parlo della più intensa, perché la bassa già tende a non attivare, dicevamo, se non attiva i nessi che strutturano il procedimento di comparazione della attività razionale la attenzione si focalizzerà allora su una delle due percezioni meno intense ,che consentono la strutturazione del nesso associativo, mentre le altre percezioni si radicheranno simbolizzandosi, e determineranno la creazione del simbolo inconscio, il cui perdurare come traccia mnesica nella memoria è legato a dati causali e di difficile enucleazione. La scissione dei dati mnemonici sembra invocare la ipotesi di semplicità della idea, la cui complessità deriverebbe dalla associazione,che determinerebbe a livello organico tracce mnesiche permanenti ,che uniscono idea e qualità , e idea e idea, tesi, suffragazione o antitesi, sintesi in una accezione hegeliana comprendente dunque la quantità, ovvero il potere della cultura ad esempio che altro non è se non associazione, e sintesi sulla guarigione del folle, per enucleare un esempio di quantità relato alla sua potenzialità ideativa che si tramuta nella incidenza del fattore culturale sulla guarigione. Le determinazioni sulla psiche e la esistenza del mondo coincidono dunque con una successione numerica primitiva lineare , metaforicamente, sconvolta dal fatto che ogni parte dotata di capacità di movimento sembri idonea a creare molteplicità ,e successione numerica ideale, ragionando con il concetto di quantità, anche ideale, differente dalla qualità ideale, ovvero sintesi, dunque sistema della intelligenza-memoria rispetto cui non si trovano criteri soddisfacenti per la intelligenza. Insomma è ben possibile lo sgorgare della molteplicità da una diade , o altrove, che rappresenta la scissione dall’uno, e rispondente dunque alla sua volontà di esistenza e potenza. In questo paragone che assorbe in un'unica definizione materia e ragione, la attività razionale sembra connotarsi paradossalmente irrazionalmente nella capacità di elaborazione degli oggetti , processo primario o primordiale, che si desume con la risposta alla statuizione sul perché nei bambini e nei folli l’inconscio agisce allo scoperto, ovvero una irrazionalità che si viene a definire in una successione numerica che sostanzializza e ordina la realtà. In altre parole la ragione sembra, oltre che desiderativa, infinita a cagione della sua irrazionalità, ovvero in ragione della infinità della possibilità anche della definizione e del fattore che individua una libertà nella assenza di definizione di successione,
del tipo di quella ereditaria, ovvero della affermazione e del successo , concetto adleriano, ed ancora ciò rispetto ad un ordine ed imprigionamento obiettivo della materia anche non cosciente, e se si parla di materia si parla di terra e del femmineo, e seppure non si possa affermare che la materia non abbia coscienza. L’irrazionale si pone al di là dell’inconscio, come potenzialità che l’inconscio può raggiungere stabilmente e negativamente, il cui carattere negativo viene attutito dalla incoscienza stessa ed può essere una ragione dell’inconscio traumatico. L’inconscio pone l’irrazionale ed è per questo che esso stesso se dovesse essere definito si avvicinerebbe più a definizioni irrazionali, che razionali, ovvero desiderative, ed ancora si sa che la irrazionalità fa parte dell’istinto ovvero anche della pulsione e della sua assenza e variazione dell’oggetto in concomitanza alla veemenza pulsionale che è desiderio di soddisfazione anche in quanto spostata, precisando che ciò rimane un aspetto della irrazionalità rispetto cui gli ulteriori si presentano come riflessi anche autonomi. L’irrazionalità dell’inconscio deriva dalla velocità della pulsione, dunque, e quindi dalla veemenza del desiderio di soddisfazione in rapporto sia alla soggettività sia al riflesso incondizionato ma anche condizionato-associato- riflesso fino alla autonomia della funzione dell’analizzatore- controllo- coscienza. Essendovi diverse pulsioni di cui la pulsione di morte è propedeutica alla instaurazione della coscienza la velocità della pulsione che aumenta la indefinizione del movimento connettivo neuronale, e se unita alla velocità di altra pulsione, il cui risultato è paragonabile a uno spostamento, ovvero al bilanciamento soggettivo dei desideri- controllo, essendovi poi lo spostamento dell’oggetto basato sul processo di analogia, ebbene riprendendo la risultante irrazionale non risulterà solo dalla velocità di ciascuna pulsione ma anche dalla regione ideatoria e istintiva interessata, in termini di contingenza organica o meglio spaziale. La attività cosciente che non sarà possibile nei momenti di maggiore esercizio di velocità esercitato dalla forza della pulsione dipenderà anche dalla coincidenza spazio-temporale del sopra valere della pulsione di morte o libidica sull’istinto di conservazione, ovvero su una azione di annullamento ai fini dello spostamento, ove possibile, della sublimazione-appagamento su cui svolge ruoli da esaminare ma comunque decisivi il soddisfacimento pulsionale ideatorio, che è pulsione di vita, ovvero pulsione di vita e pulsione di morte al servizio tale ultima della vita pena la sua stessa esistenza in quanto appresa e fermo restando la emersione desiderativa ed emotiva. La pulsione di morte è connaturale al binomio forza-stasi della pulsione, ed entrambi hanno un attrattiva al pari del carattere funzionale del ritorno alla quiete- equilibrio, che rende possibile in tutti i suoi aspetti la attività cosciente ovvero, nel momento in cui la stasi come appagamento intervalla la forza della pulsione o delle pulsioni diventa con ciò collaterale e convergente nella dinamica di ciascuna pulsione, tranne l’incondizionato reale, il non prorogabile, che è sempre conservazione-controllo ovvero l’assunzione di auriga del conscio non valevole come insegna Lacan per ciascuna situazione, e parlo del soggetto e di analisi. Essa , ovvero la morte acquista la forza che struttura una situazione di quasi assenza di movimento e di desiderio di assenza di movimento (la minore velocità permette al nesso associativo di elaborare quelle associazioni che poi struttureranno la coscienza nella scissione