di contraddizione ed ulteriore scissione, attrazione-possibilità di repulsione e irrazionalità della forza risiedente al pari del caso enucleato nella elaborazione nella velocità, ovvero nella instabilità, senza a tale ultimo proposito aver statuito nulla di che al riguardo della stessa. La scissione tra volontà- attività- regolarità- passività e cerchio, ovvero fra regolarità e irregoralità , tra stasi e movimento, che rappresenta tale ultimo e figurativamente l’operare di tale volontà – attività determina a partire dall’anello della volontà, adoperando il termine nel senso di Schopenauer, di attività, e di regolarità quale passività,l’operare di tale volontà- attività determina a partire dall’anelito di volontà-attività che determina la stasi l’opposizione –scissione di stasi- movimento, attrazione- repulsione, le quali sono la risultante di stasi- passività e volontà-attività , ovvero della volontà come movimento e spazialità. Si esamina lo scaturire della diade dalla unità e tutto il senso del discorso di Schopenauer- Il movimento ponendo la opposizione -scissione tra stasi e movimento stesso attraverso la volontà-attività è paradossalmente l’espressione della volontà. Aristotele accettando le tesi platoniche sulla diade le analizzava in chiave immanente o meglio materialistica attribuendo al cerchio l’espletamento della eternità che devesi necessariamente rapportarsi al motore immobile essendo la eternità una qualità del divino. Per Aristotele il cerchio è la rappresentazione del divino ossia ne è l’espressione, come completezza e come tutto. Portano a tali conclusioni le sue formulazioni sul sinolo, sulla cui concettualizzazione vi è ancora da interrogarsi, ovvero materia e forma, e che determinarono poi Cartesio nella individuazione della ghiandola pineale. Tornando al movimento occorre dire che il cerchio occulta il movimento in virtù della strutturazione dei punti e del moto, sempre che il movimento vi sia ovvero può esservi anche la stasi. Riguardo al movimento se di due punti uno è in movimento e un altro no potremmo attribuire il movimento solo osservando il tutto da una visuale esterna, e neppure in tal modo giungeremmo a certezza ovvero i due punti si muovono perché si muove tutto il resto o i due punti si muovono e il resto non si muove, e seppure i due punti si muovono nulla di preciso sappiamo sul movimento se tutti i punti nello stesso tempo si muovono. Diventa poi difficile considerando anche la distanza della visuale attribuire il movimento quando tale distanza è nullificata dalla contingenza o vicinanza oltre che dalla lontananza ed anche questa è parallassi, ovvero l’essere vicino può far apparire un movimento lento o veloce e l’essere lontano ancora più lento a meno che il movimento non è veloce e nello stesso tempo potrebbe essere il nostro movimento ad essere veloce e opposto, e ciò è da esaminarsi oltre la questione del grado e del moto della terra, né è soggetto a confutazione ed Einstein penso ne fosse cosciente per una costruzione che sapeva parzialmente valida altrimenti non avrebbe parlato di costante e di tanto altro. Da ciò si evince che la percezione del movimento è nullificata dalla distanza e dalla vicinanza. E’allora possibile che la staticità inerisca ad un punto? Se così fosse l’origine della molteplicità è in rapporto con la estensione, ovvero con la forma e con la struttura della materia. Ma potrebbe darsi che ad essere nullificata dalla distanza sia solo la percezione del movimento. Al punto non inerirebbe la staticità, ma comunque la forma risulta comunque come apparenza del movimento del punto, ed entrambi i discorsi erano congeniali ad Einstein, ovvero trattasi anche di relazione spazio- tempo. . Comunque ipotizzare una connessione di staticità e divisibilità- indivisibilità è più che legittimo e ci conduce necessariamente al concetto di forza. Si evince l’importanza di tale concetto in quanto stando ad esso la molteplicità oltre che rapportarsi alla divisibilità -indivisibilità in quanto sicuramente la indivisibilità annullerebbe la molteplicità, o comunque la limiterebbe, e ciò è in relazione alla grandezza, ma anche alla attrazione e non solo la newtoniana. Si evince ancora che la stretta relazione tra piccolezza e molteplicità in quanto la grandezza reca seco un concetto di distanza che permette la differenziazione ad opera della percezione e della fisica , ovvero altra paralassi della percezione, e lo spazio è lo spazio di Einstein. Tornando alla forza e ragionando in base ad un principio di contraddizione su punti necessariamente connessi essa dovrebbe rapportarsi al tutto in quanto espansione. Anche la forza è origine di volontà. Ma qual è l’origine della forza? Si potrebbe pensare alla volontà ma tale affermazione contraddice alla dipendenza del Creato da Dio anche se degenera
verso un panteismo che Spinoza convogliò nei termini della ideologia monoteista, ed in ciò si radicano i capitoli aristotelici tra potenza e atto, una relazione ulteriore a quella di stasi-movimento , ovvero interpretando la questione in termini teologici. Forse sto preparando una mistura eccessivamente complessa. Tornando ad Aristotele la eternità prescinderebbe dalla stasi e dal movimento dei corpi se si esclude la attribuzione della qualità di motore immobile che non prescinde dalla eternità degli dei non allontanandosi dalle teorizzazioni sull’aponia e atarassia epicurea che si avvicinano alle teorizzazioni del nulla, come lui ben sapeva, ovvero parlando del non preoccuparsi perché quando la morte è noi non siamo e quando la morte non è noi siamo, fino alla esegesi biblica, e motivo da cui deriva lo scarso seguito di Epicuro in epoca greca nonostante la rilevanza dei suoi scritti che lo avvicinano agli scettici, oltre che alla radice della teoria di ogni nichilismo oltre che alle correnti realistiche attuali. La eternità prescinderebbe dal movimento stante la capacità innata del cerchio di muoversi attraverso l’auto- movimento , ovvero radicandosi con ciò la differenza di movimento e auto-movimento, che comunque presuppone una forza propulsiva originante che abbiamo attribuito alla volontà rispetto al meccanicismo del pendolo. Si considerino le relazioni materia e idea in quanto tutto il discorso su forma e materia, e non su forma e sostanza, ovvero su forma e materialismo, continua a reggere. Vi è da parte di Aristotele, dunque, la equiparazione del nulla di Eraclito alla stasi divina, che si basa su una immobilità che è stasi , e ciò sulla base del presunto essere stato espulso da tale concetto il concetto di non esistenza. La qualifica inerente alla stasi viene da Aristotele dunque attribuita all’essere divino, ma la eternità prescinderebbe dalla staticità del corpo e dunque la eternità diviene possibile sempre ,e neutralizza il concetto di mortalità dell’anima, senza risolvere il rapporto materia-possibile interno della materia(anima). Si coglie la trascendenza aristotelica e il suo vincolarsi alla teoria platonica i cui assiomi mai condannò. Aristotele analizzò un diverso settore rispetto all’ampio campo di studio percorso dal suo Maestro ed in particolare analizzò il rapporto movimento - stasi , movimento- immobilità e moto circolare, in correlazione alla condizione che rende possibile il costituirsi della eternità anche finita, per giungere alla coincidenza della staticità con uno stato divino, e la questione è piena di argomentazione teologica. Oltre a porre la questione del come Aristotele intendesse tale stasi Aristotele consacra il movimento a condizione comune e ricorrente, e finita. La miglior qualifica di Aristotele è quella di immanente, in quanto parte dalla diversificazione della materia, ricordando la necessità in tal caso del movimento per apportare un rafforzamento della tesi dell’idea e dell’Iper-Uranio del Maestro attraverso gli studi sulla stasi che implicano il suo non discostarsi dalla principale enucleazione platonica, ovvero la convinzione dell’esservi una scissione- una separazione, e con la separazione si rientra in ambito teologico, ovvero alla teoria dell’Uno. Veniamo alle implicazioni che si determinano tra la stasi ed il nulla. Mentre il nulla non ha esistenza la stasi presuppone un atarassia basata, come dice il termine greco, sull’assenza di movimento che non contraddice ai principi esistenziali e di qui le relazioni di atarassia e aponia , costruzione che è necessariamente una decostruzione concettuale la quale semplifica forse il legame della filosofia epicurea all’oriente, Epicuro uno tra i primi medici greci con tendenza ulteriore. Per essere pignoli bisognerebbe analizzare poi la questione se il nulla è uno stato permanente, in prospettiva teologica ed assoluta, ovvero affermando ciò si evince un carattere che è quello della finitezza. Ma l’originarsi della esistenza singola dal nulla, comunque in ogni ed imprescindibile caso, ragionando in ottica materialista, in virtù di tale necessità determina la possibilità del passaggio dal nulla all’essere ,come è teorizzato nel Parmenide, ovvero da un Socrate - Platone che costringe a navigare uno stanco Parmenide. E poi se dal nulla deriva l’essere si deve presupporre la capacità di produrre l’essere nel nulla, la eterna fine , ovvero una prospettiva teologica forse pagana, ma comunque teologica dato che la Scrittura non contraddice la istituzione di un regno della afflizione- punizione. L’affermazione porta alla disintegrazione- istituzione , logica oppositorum, del concetto del nulla , ovvero ad una sua decostruzione rispetto a tesi usuali affermate, ovvero in quanto la categoria della capacità, del